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"Davigo usi il suo metodo: si quereli da solo"

L'editoriale della domenica del direttore Paolo Liguori pubblicato su Il Giornale

Davigo querela. Lo ricordo a me stesso, mentre scrivo sul recente terremoto che fa tremare il Consiglio Superiore della Magistratura dalle fondamenta. Piercamillo Davigo annuncia querele per abitudine dai tempi di Mani Pulite, quando mostrava una cartella piena di denunce e diceva ai cronisti “queste sono per la mia pensione”. Adesso lui è in pensione ed io anche: pur essendo stato querelato da Piercamillo me la sono cavata, anche quando mi fece querelare dalla sua segretaria perché in quel modo sarei stato giudicato a Milano e non a Brescia, dove le querele di quei magistrati di Mani Pulite di Milano venivano considerate sistematiche e giudicate senza pregiudizio di casta.

"Casta", "Pregiudizio", parole proibite, da non usare, si diceva all’inizio degli anni ’90. Qualcuno lo potrebbe ancora pensare oggi, dopo aver letto le memorie di Luca Palamara, trascritte da Alessandro Sallusti? E dopo aver assistito in queste settimane alla brutta vicenda dei verbali dell’avvocato Amara che hanno fatto il giro di Procure e giornali per iniziativa di magistrati impegnati in una sorda guerra interna?

 

Il Csm trema, ma la gente comune non capisce quasi nulla dell’intrigo. E così, anche se Davigo querela, è necessario chiamarlo in causa, perché è lui il principale protagonista della vicenda, più del Pm Paolo Storari, che dà il via alla lotta "tutti contro tutti"; più della sua segretaria Marcella Contrafatto (un’altra, rispetto a quella in Procura di Milano), che diffonde le carte in giro; molto di più del Procuratore di Milano Greco, accusato di lentezza nelle indagini e più di tutti gli altri coinvolti nella deposizione di Amara e nei giri delle carte.

 

Dunque, Davigo querela, ma chi e perché? Non querela chi lo ha soprannominato Piercavillo, quando sostiene che i documenti "sono in word e non sono atti originari" e poi si trincera dietro "preferisco non rispondere", di fronte alle domande. Ovvio, si tratta di atti non firmati, presi dal cosiddetto fascicolo di lavoro, prima della conclusione delle indagini ma sempre secretati. E probabilmente non querela Antonio Robledo, già Procuratore aggiunto a Milano, che lo chiama in televisione Pieranguillo, perché sfugge alla questione principale sostenendo che, se avesse seguito le vie formali, avrebbe favorito il disvelamento e la diffusione della vicenda raccontata da Amara.

 

E così, invece? Davigo querela chi ricorda che lui era un capocorrente della Associazione Magistrati e membro del Csm e che i verbali, probabilmente diffusi della sua segretaria hanno fatto il giro di uffici giudiziari e redazioni di mezza Italia? Contemporaneamente alla grave crisi del Sistema Giustizia, aperta dalle rivelazioni sui metodi e le procedure in voga nella Magistratura di Luca Palamara?

 

I fatti stanno venendo a galla a poco a poco, compresa l’impressione abbastanza evidente che al centro del mirino, questa volta, sia stato messo un altro membro del Csm, il Procuratore Sebastiano Ardita. Ma ci sono alcune considerazioni che si possono già anticipare, senza aspettare ipocrite giustificazioni e sentenze.

 

La prima è semplice e chiarissima: la Magistratura, in questi anni, ha elaborato e rafforzato la convinzione che una sua presunta superiorità morale la ponga al di fuori e al di sopra delle regole che valgono per tutti gli altri, cioè per tutti noi. Una teoria simile a quella descritta nella “Fattoria degli Animali” di George Orwell. E ciò si realizza da parte di una minoranza di magistrati - soprattutto insediati nelle Procure - a danno prima di tutto della maggioranza degli altri magistrati, come documenta bene il libro di Luca Palamara.

 

Da qui nasce, ad esempio, la convinzione, che fu del gruppo di Mani Pulite e della Procura di Milano, di costituire un gruppo di prescelti, deputati a selezionare la classe dirigente del Paese, sostituendosi ad una classe politica ormai degradata. Ma, come si vede in questi giorni, il degrado ha fatto passi veloci nella magistratura e nel suo organo di autogoverno.

 

Davigo querela, ma non può farlo contro se stesso: la sua inflessibilità, la sua assoluta intransigenza sono state il suo marchio: "Non ci sono innocenti, solo colpevoli non ancora scoperti", "I professori universitari fanno domande a chi non sa niente e fa di tutto per dire qualcosa, io interrogo persone che sanno tutto e fanno il possibile per non dire una parola", "In Italia la legge tutela più chi la viola, rispetto a chi ne subisce le violazioni".

 

Perfetto Davigo, potrei citarne decine di queste severe massime, valide per gli altri, non per se stesso. E' lui, l’uomo dall’indice puntato contro gli altri, che assesta un colpo micidiale contro la credibilità della Giustizia e lascia in grande difficoltà le istituzioni, a cominciare dalla Presidenza della Repubblica.

 

Cosa fare adesso con questo Csm? Non è un Comune, o un distretto scolastico, che può essere sciolto o commissariato, senza un’idea di riforma, ci vuole un’altra iniziativa e, in questo senso, la raccolta di firme dei radicali e di Salvini è già un’iniziativa, rispetto alla paralisi. Ma se le cose non cambiassero in fretta, varrebbe la pena di riflettere sul principio costituzionale dell’autonomia e dell’autogoverno, perché allo stato attuale questi magistrati non sono in grado di eleggersi in modo trasparente e di autogovernarsi.

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