L'artista è tra i grandi protagonisti della stagione musicale del Museo Casa Menotti
di Giancarlo Bastianelli© Ufficio stampa
Un concerto che il pubblico del Museo Casa Menotti difficilmente dimenticherà, quello del pianista e compositore Guido Coraddu. Non solo musicista, ma anche appassionato ricercatore, Coraddu ha accompagnato chi ha assistito all'evento in un viaggio attraverso una terra come la Sardegna, ancora tutta da scoprire, dal punto di vista musicale. Accanto a nomi universalmente noti come Paolo Fresu, Enzo Favata, Antonello Salis o Gavino Murgia, nell’isola troviamo moltissimi artisti che fanno della creatività e dell'originalità la loro forza.
Guido Coraddu ha presentato il suo progetto discografico "Miele Amaro", che trae ispirazione dall'omonima opera letteraria di Salvatore Cambosu, pubblicata nel 1954. Coraddu gradito ospite a "Jazz Meeting", è attivo sulla scena musicale da circa trent’anni. Pianista di scuola classica diplomato con Ludovica Costa, è passato dalle esperienze giovanili presso il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova, dove si è laureato in Ingegneria Elettronica, alla scrittura per la danza contemporanea, il teatro, il cinema e la radio.
Negli anni 2000 è tornato a suonare il pianoforte dal vivo prima con il progetto Trèulas, poi con il quartetto Musica ex Machina con il quale ha pubblicato quattro album. Nel 2022 ha pubblicato il suo primo album per pianoforte solo: Miele Amaro – una antologia del jazz sardo. Nel corso degli anni ha collaborato con moltissimi musicisti tra loro: Daniele Sepe, Roy Paci, Victor Seen Yuen, Louis Sclavis, Kenny Brawner. Guido Coraddu ha dato anche vita e partecipato a progetti artistici orientati alle arti grafiche, al giornalismo, al teatro e alla letteratura. Come tante altre cose, racconta Guido Coraddu, il mio progetto è nato durante la Pandemia, ho sempre preferito lavorare con ensemble sia come musicista che in qualità di compositore.
"Miele Amaro" può essere considerato il mio primo lavoro di piano solo. Non potevo in quel periodo suonare insieme ad altri e quindi ho pensato a qualcosa che avrei potuto realizzare da solo. "Miele Amaro” è un libro che è difficile da definire; non è un’opera di finzione e neanche un’antologia, a suo modo è un libro sperimentale, che racconta la cultura sarda degli anni ’50, periodo in cui era forte l’apertura dell’isola a stimoli culturali esterni e completamente differenti tra loro. “Miele maro” di Salvatore Cambosu aveva lo scopo di raccontare la cultura di questa terra a chi sardo non è, ma anche ai sardi stessi. Per quanto mi riguarda, ho fatto una ricerca sul Jazz sardo ed anche nel mio concerto a Spoleto ho proposto in gran parte musica di artisti della mia terra, filtrati attraverso il pianoforte. Studiando la musica e lavorando con i musicisti della mia regione, mi sono accorto dell’ampiezza dell’offerta musicale: la Sardegna è come un arcipelago di musiche diverse, tutte di grande interesse.
Per te suonare a Spoleto e importante?
Certamente, a Spoleto si "vive" la storia del Festival dei Due Mondi, una manifestazione che dalle primissime edizioni ha aperto una sorta di canale, tra la cultura italiana e quella degli Stati Uniti. Iniziai a conoscere il festival fin da bambino. Avevo una zia che lavorava ad Assisi, qualche volta andavo a trovarla, mi capitava di venire a Spoleto, per assistere a qualche spettacolo. Trovarmi ora a suonare il piano che appartenne al Maestro Gian Carlo Menotti, mi dà un'emozione particolare. È come entrare nel flusso della storia del festival. Mi ha colpito positivamente la reazione del pubblico, sia a Spoleto che negli altri luoghi dove ho presentato “Miele Amaro”.