Centosette milioni di americani possiedono almeno un’arma da fuoco, a oggi 10mila di loro sono stati uccisi da un proiettile
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Qualche giorno prima di venire assassinato mentre partecipava a un evento alla Utah Valley University, Charlie Kirk aveva condiviso un report del Network Contagion Research Institute (Ncri). Lo studio evidenziava in numeri un dato quantomeno inquietante: 38 americani su 100 giudicavano "giustificabile" l’assassinio di Trump, 31 su 100 quello di Elon Musk. Kirk aveva posto l'accento su questi dati, definendoli la spia di una vera e propria "assassination culture" che stava dilagando negli Stati Uniti.
Una spirale d'odio in realtà abbastanza bipartisan e che porta spesso a silenziare con gli spari le voci del dibattito. Solo nelle 72 ore che hanno preceduto l'assassinio del giovane volto della destra trumpiana ci sono state 175 sparatorie nel Paese. I dati arrivano dal sito di Gun Violence Archives, un'organizzazione non profit nata nel 2013 proprio per documentare i decessi legati alle armi da fuoco negli Stati Uniti.
Ogni americano ha diritto ad avere un'arma per difendersi. Quel secondo emendamento della Costituzione è scritto a fuoco nel dna americano, dove imparare a sparare è quasi uno step obbligatorio nel processo di crescita di ogni buon cittadino. Il killer di Kirk, Tyler Robinson era solo uno dei centosette milioni di americani che possiedono almeno un’arma da fuoco.
In totale quattro famiglie su dieci tengono in casa un fucile o perfino un mitragliatore, con una nonchalance quasi inspiegabile per chi vive dall'altra parte dell'Oceano. Le lobby delle armi sono potentissime e arrivano a orientare intere elezioni ma quelle pallottole ormai sono una minaccia quasi quotidiana per qualunque cittadino Usa.
Nella stessa giornata in cui Kirk veniva colpito a morte con un solo proiettile, altre dieci persone in America perdevano la vita a causa di uno o più spari. Al conto dei decessi vanno poi aggiunti altre cinque persone, che hanno perso la vita dopo essersi trovate nel mezzo della colluttazione armata tra forze dell'ordine e criminali, e ben 23 feriti. In 72 ore si è registrato quasi un decesso per arma da fuoco ogni ora: si parla infatti di addirittura 61 morti in pochi giorni. Una vera carneficina che spaventa, anche e soprattutto perché troppo spesso teatro della violenza indiscriminata diventano scuole e atenei, i luoghi dove ci dovrebbe essere la sicurezza di poter crescere e confrontarsi in un ambiente sicuro.
Columbine è diventato un nome capace di evocare fantasmi, anche fuori dagli Stati Uniti ma, a distanza di decenni le aule continuano a diventare troppo spesso quasi poligoni di tiro. Mentre Kirk perdeva la vita in un ateneo, uno studente in Colorado apriva per esempio il fuoco nella sua scuola superiore, ferendo due compagni di classe prima di puntare il grilletto contro se stesso. Bilancio finale: tre studenti dell'Evergreen High School feriti gravemente, tra cui pure l'attentatore.
Una decina di giorni prima era toccato all'istituto cattolico Annunciation di Minneapolis, Minnesota. Due i bambini uccisi nella strage. Avevano otto e dieci anni. L'attentatore era un ventitreenne senza precedenti che, anche in quel caso, si era poi tolto la vita. Solo nelle scuole primarie e secondarie il Il K-12 School Shooting Database ha contato, dall’inizio dell’anno, "più di 140 sparatorie". Nel caso di Minneapolis era arrivato subito il cordoglio del governatore democratico dello Stato Tim Walz, che aveva condannato senza mezzi termini "l’ennesimo orribile atto di violenza".
Lo stesso Walz era stato costretto qualche mese fa a commentare il brutale assassinio di Melissa Hortman, membro della Camera dei Rappresentanti del Minnesota dal 2005 fino al giorno della sua tragica scomparsa. Anche in quel caso, come in quello di Kirk, l'assassino era stato mosso da motivazioni politiche, uccidendo nella carneficina pure il marito dell'esponente democratica. Nella colluttazione venne poi ferito inoltre un altro importante politico dello Stato con sua moglie.
Certi episodi esplicitano in maniera chiara come ormai il dibattito pubblico americano sia stato inquinato dalla violenza, arrivando addirittura a far rischiare la vita allo stesso presidente Trump (arrivato a pochi centimetri dal perdere la vita per un attentato l'estate scorsa).
Dopo l'attentato a Kirk il New York Times ha citato un altro sondaggio, pubblicato dalla Foundation for Individual Rights and Expression, secondo cui il 34% degli studenti universitari americani ritiene accettabile usare la violenza per impedire un discorso pubblico con cui non è d’accordo. Una percentuale in costante crescita che comunque già nel 2021 toccava un preoccupante 24%.
Lo scorso anno su ogni mille decessi negli Stati Uniti più di cinque erano causati da armi da fuoco. In Italia, per dare un'idea, nel 2024 solo 101 persone hanno perso la vita in circostanze simili, un numero minore a quello dei minori di undici anni uccisi da una pallottola nell'anno in corso negli Usa (168).
I dati confermano come nel Paese dello Zio Sam non si sia mai scesi sotto le 13mila vittime l'anno, con un picco che ha coinciso con la pandemia da Sars-CoV-2. 16.725 sono le persone uccise da un'arma da fuoco nell'ultimo anno: come se un comune più popoloso di Urbino scomparisse solo a causa dei proiettili.