Il bambino, arrivato a Roma per ricevere cure oncologiche non disponibili a Gaza, è morto all'Umberto I. Nelle stesse ore il padre veniva liberato da una prigione israeliana
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Saed era fuggito dall'inferno della guerra, ma il destino non gli ha dato scampo. Trasferito dalla Striscia di Gaza in Italia per ricevere cure contro un tumore giudicato incurabile nella sua terra d'origine, il piccolo è morto nelle scorse ore al Policlinico Umberto I di Roma. Proprio mentre il suo cuore cessava di battere, il padre - detenuto in Israele - veniva liberato nell'ambito dello scambio di prigionieri tra Hamas e le autorità israeliane. Una coincidenza crudele, che ha impedito per sempre l'abbraccio tra un figlio malato e il genitore appena tornato in libertà.
Saed era uno dei bambini palestinesi evacuati da Gaza per ricevere cure salvavita in strutture ospedaliere europee. Le sue condizioni erano gravissime: il tumore diagnosticato non poteva essere trattato nei presidi medici della Striscia, da tempo al collasso per la carenza di farmaci e la distruzione di ospedali. Secondo quanto dichiarato da padre Ibrahim Faltas, direttore delle scuole di Terra Santa, il bambino è arrivato in Italia nei primi mesi del 2024, accompagnato dalla madre, nell'ambito di un programma di emergenza umanitaria.
Dopo un primo arrivo all'aeroporto di Ciampino insieme ad altri piccoli pazienti, Saed è stato preso in carico dal Policlinico Umberto I di Roma. La diagnosi era senza appello: una forma aggressiva di tumore in stadio avanzato. In patria, il piccolo non avrebbe avuto possibilità di trattamento né alcun tipo di sollievo.
All'Umberto I, Saed è stato assistito da un'équipe di specialisti che, come racconta padre Faltas, "si è prodigata in ogni modo" per curarlo. Medici e infermieri si sono alternati nel reparto pediatrico con dedizione e umanità, cercando di offrire al bambino non solo cure, ma anche conforto e presenza. "Giocava con me, mi teneva la mano, sentivo la sua forza e la voglia di vivere", ha raccontato Faltas in un'intervista all'Osservatore Romano.
Il percorso sanitario si è rivelato però drammaticamente breve. L'aggressività della patologia e il ritardo con cui era stato possibile iniziare le cure hanno reso ogni sforzo vano. Nelle ultime ore, il quadro clinico si è aggravato fino al decesso, avvenuto nella mattinata del 13 ottobre.
La notizia della morte di Saed è arrivata proprio nel giorno in cui si è conclusa una fase cruciale della trattativa tra Hamas e Israele per la liberazione di ostaggi e detenuti. Nella giornata del 13 ottobre, Israele ha rilasciato più di 1.700 detenuti palestinesi, mentre Hamas ha consegnato 20 ostaggi israeliani. Secondo quanto riferito da fonti vicine alla famiglia, tra i palestinesi liberati ci sarebbe anche il padre di Saed.
Fonti ufficiali israeliane non hanno fornito un elenco nominativo dei detenuti rilasciati. Tuttavia, il coordinamento tra le autorità religiose e le organizzazioni umanitarie presenti a Roma ha permesso di confermare che la liberazione dell'uomo è avvenuta nelle stesse ore in cui il figlio moriva in ospedale. I due non si sono potuti rivedere né parlare. L'uomo, al momento della scarcerazione, non era ancora stato informato del decesso del figlio.
Il religioso ha voluto ricordare la figura del piccolo Saed come simbolo di una tragedia collettiva e di un'umanità che resiste. "La gioia per l'accordo di pace è stata offuscata dalla morte di Saed", ha scritto Faltas. "Era tra i primi bambini ad arrivare in Italia da Gaza per ricevere cure. Ha trovato competenza medica, ma anche accoglienza, affetto e una mano tesa che ha cercato fino all'ultimo di alleviarne le sofferenze".
Il direttore delle scuole di Terra Santa ha anche lodato il sistema sanitario italiano, sottolineando come decine di bambini palestinesi abbiano già beneficiato di cure avanzate nel nostro Paese. Molti sono riusciti a guarire. Altri, come Saed, no. Ma anche per loro, ha detto, "l'Italia è stata una casa più sicura di una guerra".
Negli ultimi mesi, l'Italia ha accolto numerosi bambini palestinesi provenienti da Gaza in condizioni gravi. Si tratta di pazienti oncologici o affetti da patologie croniche aggravate dal collasso del sistema sanitario locale. La mancanza di medicinali essenziali, come l'insulina, e la distruzione di ospedali rendono praticamente impossibile ogni intervento sanitario efficace nella Striscia.
Le missioni umanitarie, coordinate con enti religiosi e associazioni italiane, hanno portato in salvo decine di minori, affidati a strutture pediatriche del Centro e Nord Italia. Il programma prevede l'accompagnamento da parte di un genitore o di un familiare stretto, l'accoglienza in strutture attrezzate e la presa in carico integrata da parte del personale sanitario. Il caso di Saed, tragico nella sua unicità, evidenzia tuttavia i limiti anche della solidarietà più organizzata: le guerre colpiscono i più deboli e i più piccoli, e spesso anche i corridoi umanitari arrivano troppo tardi.