RETROGAMING

Dungeons & Dragons e i sotterranei di Eye of the Beholder

Ritorniamo nei pericolosi labirinti creati nel 1990 da SSI nel suo classico del retrogaming, tra coboldi, incantesimi e trappole

14 Dic 2023 - 18:40
 © Ufficio stampa

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Il meritatissimo successo di Baldur's Gate 3 ci fa ricordare come il nostro hobby sia legato a stretto giro con uno dei marchi di intrattenimento più famosi di sempre: Dungeons & Dragons. Sin dai tempi del primo Advanced Dungeons & Dragons per Intellivision, passando per i famosi videogiochi arcade di Capcom, il gioco di ruolo da tavolo per eccellenza è stato la base per tante apprezzabili icone del retrogaming.

In questa occasione vogliamo ricordarne uno particolarmente caro agli utenti di PC e Amiga dei primi anni Novanta: Eye of the Beholder, un vero classico per i patiti di retrogaming.

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In quegli anni i motori grafici in 3D risultavano ancora molto primordiale e una sensazione di tridimensionalità veniva spesso fornita tramite artifici come quello usato dal famoso Dungeon Master per proporre degli oscuri labirinti da esplorare, ovvero una semplice ma efficace visuale prospettica del "dungeon" e la possibilità di avanzare a passi o ruotare la "telecamera" di 90 gradi. Un’idea sfruttata anche dall'ormai defunta SSI (ovvero Strategic Simulations Inc.), software house specializzata in videogame strategici e "ruolistici" che ha raffinato l’idea nel suo succitato best-seller uscito nel 1990.

In Eye of the Beholder possiamo creare un gruppo di quattro avventurieri fantasy scegliendo razza (umani, nani, elfi o halfling) e classe di appartenenza (guerrieri, ladri, maghi e così via), il tutto rigorosamente aderente alle regole di Advanced Dungeons & Dragons. Il quartetto viene spedito dal re della florida Waterdeep a esplorare le fogne della città, dove da qualche tempo si registrano strani e pericolosi accadimenti. È l’inizio di un pericoloso viaggio sotterraneo che porterà gli eroi lungo diverse ambientazioni interconnesse, fino al confronto finale con il pericoloso Beholder dai molti occhi, capace di annullare poteri magici con un semplice sguardo.

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Il gioco si svolge interamente in tempo reale, con creature di diverso genere che si aggirano per i sotterranei con intenzioni ben poco amichevoli. Un semplice sistema di combattimento consente di attaccare i nemici e usare oggetti e incantesimi, il tutto tenendo conto della posizione di ogni personaggio nel gruppo. Solo i personaggi in prima fila possono combattere direttamente, mentre ai due nelle retrovie spetta il compito di usare armi a distanza (da pugnali da lancio ad archi), incantesimi e altri strumenti per supportare il team.

Va da sé che la chiave per uscire vivi dai sotterranei di Waterdeep è innanzitutto la composizione di un "party" (ovvero gruppo di avventurieri, in gergo) bilanciato. Per esempio, i chierici sono fondamentali per curare i membri feriti o avvelenati mentre i ladri tornano utilissimi per disattivare trappole e aprire serrature. Buona parte del classico bestiario fantasy si aggira nel dungeon del gioco, tra coboldi, orchi e scheletri riportati in vita dalla negromanzia, senza contare qualche bestia un po’ più pericolosa che funge spesso da vero e proprio "boss".

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Fortunatamente, eliminando i nemici i nostri personaggi accumulano "punti esperienza" utili per aumentare il proprio livello e potenziarsi, migliorando le proprie caratteristiche e acquisendo altre abilità. Tutte cose che oggi ci sembrano scontate ma che nel 1990 risaltavano, specialmente per l’aderenza al regolamento originale del gioco di ruolo. Non mancano inoltre trappole, passaggi segreti e puzzle a ostacolare e vivacizzare l’avanzata del nostro baldo quartetto di eroi, tutti elementi che rendono l’esperienza molto varia e interessante.

Avventura lunga e complessa che ha spinto migliaia di giocatori a compilare fogli su fogli di mappe quadrettate (ai tempi l’auto-mappa ancora non era uno standard), Eye of the Beholder viene ben accolto dalla critica e soprattutto diventa rapidamente un best-seller, un risultato che spinge SSI a incaricare il team di Westwood a realizzare rapidamente un secondo, bellissimo episodio intitolato Eye of the Beholder II: The Legend of Darkmoon, a sua volta apprezzatissimo sia da critica che da pubblico alla sua uscita nel 1991.

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Un terzo capitolo arriva invece nel 1993, un po’ fuori tempo massimo per questa tipologia di videogame (coi motori tridimensionali che nel frattempo hanno iniziato a fare capolino) e soprattutto con un cambio di team di sviluppo al timone. Eye of the Beholder III: Assault on Myth Drannon è un altro dungeon-crawler competente ma ben poco evoluto e con un design dei livelli tutto sommato poco interessante rispetto alla precedente avventura.

Poco male: come trilogia, soprattutto grazie ai primi due episodi, quella di Eye of the Beholder rimarrà nella storia dei videogame fantasy e nei cuori di tantissimi avventurieri digitali appassionati di retrogaming.

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