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Ogni uomo (e donna) ha un prezzo

Ecco quanto vale la vita di una persona

16 Mar 2009 - 15:38

Quanto “vale” in denaro la nostra vita? Al di là del valore intrinseco dell’esistenza, non calcolabile e uguale per tutti, è evidente che il peso in moneta sonante non è lo stesso per ciascuno di noi. Ora esiste addirittura un sito Internet che, grazie ad un apposito test, si preoccupa di calcolare al centesimo il controvalore economico di un individuo. L’idea ci sembra eticamente riprovevole? Eppure è un dato di fatto con il quale ci si scontra con frequenza, ad esempio quando si stipula una polizza assicurativa, oppure se ci si rivolge al tribunale per ottenere un risarcimento. Insomma, come un tempo avveniva nel caso degli schiavi, comprati e venduti in contanti, ancora oggi è vero che ciascuno ha il suo prezzo.

Come riferisce il nuovo numero  di Focus Extra,  rivista Gruner+Jahr Mondadori diretta da Sandro Boeri, negli Stati Uniti è stato messo online un sito Web che si propone di tradurre in denaro il valore di ciascuno. Il sito, che con pragmatismo tutto americano si chiama “Human for sale” , ossia “Esseri umani in vendita”, propone un questionario che tiene conto degli aspetti più disparati della vita, dall’altezza all’età, dal colore dei capelli al quoziente intellettivo. La logica del test è semplice: più si è prestanti, maggiore è il valore.

La variabile di maggior peso nell’influenzare già il “prezzo di partenza” di un individuo è il sesso. Il valore “base” che il sito attribuisce a un soggetto femminile è di 135mila dollari, contro i 200mila di un maschio. La quotazione diversa per uomini e donne è confermata dal fatto che, nel corso di tutta la vita lavorativa di una persona, per ogni dollaro guadagnato da un maschio, una donna percepisce invece solo 71-74 centesimi. E in Italia il divario tra i due sessi è ancora più vistoso.

La discriminazione del sesso femminile già per questo valore intrinseco è antica quanto il mondo: la si ritrova perfino nella Bibbia, dove l’Antico Testamento riferisce il “costo”  di una persona da consacrare al Signore. Per un maschio dai venti ai sessant’anni la stima era di cinquanta sicli, ossia monete, d’argento, mentre per una donna la stima era di trenta sicli. Dai cinque ai vent’anni, invece, la stima era di venti sicli per un maschio e di dieci per una femmina. Va un po’ meglio per la donna, almeno in certe culture come quella indiana, se si considera la facoltà riproduttiva femminile, che faceva alzare le quotazioni.

Tornando al giorno d’oggi, secondo l’organizzazione britannica Anti-Slavery International, che si propone di sradicare le ultime forme di schiavitù, in tutto il mondo ci sono ancora 12,3 milioni di persone comprate e vendute, per lo sfruttamento del lavoro, per la prostituzione e addirittura per l’espianto di organi. Secondo un rapporto del consiglio d’Europa, una prostituta comprata e rivenduta “vale” appena 2mila dollari. Tra i cinesi, inoltre, non è raro che una persona venga rapita a scopo di riscatto: se la famiglia non sborsa la cifra richiesta, di solito circa 13mila euro, il rapito viene venduto e utilizzato in attività manifatturiere illegali. 
Senza pensare a questi tristi aspetti della realtà umana, anche in Occidente è possibile tradurre in denaro l’investimento compiuto su una persona. E’ quello che ad esempio fanno i genitori nei confronti dei figli, Ad esempio, il “valore” di un figlio dal punto di vista economico si calcola in base al rapporto tra quanto è costato ai suoi genitori e quanto potrà rendere con il suo lavoro. L’investimento in questo senso è diverso a seconda delle diverse zone del globo: nel Terzo Mondo, ad esempio, si punta sulla quantità, perché il costo di mantenimento è minimo, mentre nei Paesi ricchi si limita il numero dei discendenti, ma si investe di più su ognuno di loro. Insomma, si preferisce avere pochi figli, ma di maggiore successo.

Il valore economico attribuito a una persona è evidente anche in ambito assicurativo e legale. Ad esempio il danno che si deve pagare in caso di morte di una persona viene calcolato in base al reddito annuale che la persona era in grado di produrre al momento della morte, moltiplicato per gli anni di vita lavorativa che la vittima non ha potuto godere. In Italia,poi,  il danno non patrimoniale per la morte di una persona viene stabilito dai singoli tribunali e in media si attesta sui 150mila euro.

In ogni caso la domanda cruciale resta sempre la stessa: è possibile tradurre in denaro la vita di una persona? Come spiega l’antropologo Pier Giorgio Solinas dell’Università di Siena, c’è un lato della persona che nessuno potrà mai acquistare: la sua coscienza, la sua creatività e i suoi pensieri.

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