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Le difficoltà occupazionali dei laureati

Secondo McKinsey, lʼelevato tasso di disoccupazione giovanile non è riconducibile soltanto alla crisi economica

Il Rapporto Giovani promosso dall'Istituto Toniolo di Studi Superiori sottolinea che tra i giovani italiani è cresciuta la disponibilità dei giovani ad adattarsi al mondo del lavoro.

In molti – specialmente quelli delle classi medio-basse, osserva lo studio – mettono in secondo piano l'auto-realizzazione rispetto al reddito. Difficile sorprendersi, però. Tanti sono i giovani che svolgono un impiego pur possedendo competenze superiori a quelle richieste.

Secondo il CENSIS, nel 2014 i lavoratori italiani “sotto inquadrati”, considerati tali in quanto svolgono mansioni più semplici rispetto al loro livello formativo, erano oltre quattro milioni – pari al 19,5% dei lavoratori totali –, il 41% dei quali era laureato. Il possesso della laurea continua ad offrire maggiori opportunità lavorative rispetto ai diplomati: nel 2015 l'Eurostat rilevava che il 57,5% dei laureati risultava occupato, a tre anni dal conseguimento del titolo.

Un dato in crescita rispetto al passato recente – nel 2014 la percentuale era al 52,8% –, ma comunque inferiore alla media europea (81,8%) e alla maggior parte delle percentuali rilevate nel resto dei Paesi dell'UE: peggio di noi fa soltanto la Grecia (49,9%). La crisi economica ha contribuito a peggiorare la situazione dei giovani italiani – nel 2008 la percentuale dei laureati occupati a tre anni dal titolo era al 70,5% –, ma non rappresenta l'unico motivo.


Secondo una ricerca McKinsey, la disoccupazione giovanile, – è riconducibile soltanto in parte alla recente crisi economica. Lo studio sostiene che la transizione dei giovani dalla scuola al mondo del lavoro è particolarmente difficile anche per altre cause.


Lo sbilanciamento quantitativo tra domanda delle imprese e scelte dei giovani – meno del 30% degli universitari sceglie l'indirizzo di studi sulla base degli sbocchi occupazionali –, la carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico – solo il 42% delle imprese italiane ritiene che i giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro abbiano una preparazione adeguata – e l'inadeguatezza dei canali di supporto alla ricerca di un impiego: nel nostro Paese, l'80% dei disoccupati con meno di 30 anni utilizza la rete di amici, conoscenti e familiari per trovare un'occupazione, mentre solo circa un terzo si serve dei canali istituzionali.

Altrove le cose vanno diversamente, sottolinea McKinsey: in Germania, dove il tasso di disoccupazione giovanile è tra i più bassi dell'Unione europea, gli uffici pubblici di collocamento sono il mezzo principale di ricerca in oltre l'80% dei casi.