I dati del Politecnico di Milano

In crescita lo “smart working” nel nostro Paese

Non tutte le imprese dimostrano un grande interesse per un'organizzazione 'smart' del lavoro, che risulta scarsamente diffusa tra quelle di piccole e medie dimensioni

26 Ott 2015 - 04:00
 © agenzia

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Molte aziende hanno adottato lo smart working da tempo – Virgin Group è l'esempio probabilmente più famoso –, altre invece hanno deciso di farlo di recente. Rispetto allo scorso anno, infatti, la quota delle grandi imprese italiane passate ad un modello di lavoro "smart" è cresciuta parecchio.

In cosa consiste lo smart working, innanzitutto? In cambio del conseguimento degli obiettivi prefissati; l'azienda concede al lavoratore una maggiore flessibilità oraria, un più frequente utilizzo degli strumenti digitali – come gli smartphone e i tablet, presenti rispettivamente nel 91% e nel 66% delle grandi imprese –, che permettono di lavorare lontano dal luogo e al di fuori degli orari di lavoro tradizionali in modo efficace. Sempre secondo il Politecnico di Milano, infatti, i dispositivi mobili hanno permesso alle imprese italiane di recuperare 9 miliardi in produttività.

Tutto ciò deve essere accompagnato da una contemporanea riorganizzazione degli spazi di lavoro, con lo scopo di incentivare la collaborazione, la comunicazione e la concentrazione tra i dipendenti.

Nell'ultimo anno, un numero crescente di aziende ha abbandonato il modello di organizzazione tradizionale del lavoro. Secondo una rilevazione dell'Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano, la quota delle grandi imprese italiane, che hanno in atto progetti strutturati ed organici in smart working, è passata al 17%. In crescita rispetto al 2014, quando soltanto l'8% delle grandi aziende aveva adottato già un modello di lavoro completamente "smart".

Tuttavia non tutte le imprese dimostrano un grande interesse per lo smart working, che risulta scarsamente diffuso specie tra quelle di piccole e medie dimensioni, considerate tali perché impiegano meno di 250 addetti e hanno un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro (o un attivo inferiore ai 43 milioni). Oltre una piccola e media impresa su due ha ammesso di non conoscerne il significato o si è dichiarata non interessata. E così soltanto il 5% delle Pmi ha avviato un progetto strutturato di smart working mentre il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia.

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