La Corte d'Appello di Lecce conferma la condanna in sede civile di Fabio Riva e Luigi Capogrosso. Incrementati gli indennizzi destinati all'ente locale e alle società partecipate.
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La Corte d'Appello di Lecce ha confermato la condanna in sede civile nei confronti di Fabio Arturo Riva, erede del patron dell'ex Ilva, e dell'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, stabilendo un risarcimento complessivo di oltre 21 milioni di euro al Comune di Taranto, la somma di oltre 162mila euro all'azienda partecipata dei trasporti Amat-Kyma Mobilità e circa 116mila euro all'azienda partecipata per l'igiene urbana Amiu-Kyma Ambiente. Nella sentenza si citano anche le transazioni concluse "dalle condebitrici Ilva spa e Partecipazioni Industriali spa". La decisione recepisce le istanze dell'ente civico, che aveva impugnato la sentenza precedente contestando la quantificazione del danno e chiedendo un riconoscimento più ampio degli effetti ambientali e materiali subiti dalla città.
Nel dettaglio, la Corte d'Appello ha condannato Riva e Capogrosso a versare circa 18 milioni di euro al Comune di Taranto per il danno non patrimoniale connesso alla lesione dell'immagine, della reputazione e dell'identità storica e culturale della città. A questa somma si aggiungono oltre 2,5 milioni di euro, oltre Iva, per il danno patrimoniale arrecato al patrimonio immobiliare comunale dei quartieri Città Vecchia e Paolo VI. Il provvedimento comprende inoltre circa 500mila euro per i danni materiali subiti dalle strutture scolastiche e 23mila euro destinati alle spese di manutenzione del plesso Gabelli. I giudici hanno inoltre disposto il pagamento di oltre 116mila euro per le spese processuali.
Nella motivazione, la Corte d'Appello sottolinea come la quantificazione del danno non patrimoniale richieda una valutazione più ampia, alla luce della gravità e della durata delle condotte contestate, definite "reiterate e perduranti da almeno un ventennio". Il provvedimento richiama il dolo e la prevalenza attribuita alla "logica del profitto" rispetto alla tutela della salute e dell'ambiente, elementi ritenuti centrali nella ricostruzione delle responsabilità civili. I giudici evidenziano inoltre l'impatto negativo sulla percezione esterna della città e sulla sua identità collettiva, un danno che, secondo il collegio, deve essere riconosciuto in modo più incisivo rispetto alla sentenza di primo grado.
La sentenza comprende anche i risarcimenti destinati alle aziende partecipate del Comune. Ad Amat-Kyma Mobilità vengono riconosciuti oltre 162 mila euro per i maggiori oneri legati alla sostituzione dei materiali d'uso, danneggiati dalle emissioni. Ad Amiu-Kyma Ambiente spettano invece circa 116 mila euro per i costi aggiuntivi sostenuti nelle attività di spazzamento, lavaggio stradale e per la dotazione di tute integrali ai dipendenti impegnati nelle zone maggiormente esposte. La Corte dà atto anche delle transazioni concluse nel tempo dalle società Ilva spa e Partecipazioni Industriali spa, condebitrici nel procedimento.
A supporto della decisione, la Corte richiama gli elementi già evidenziati nella sentenza di primo grado, dove veniva riconosciuta la responsabilità dei due imputati per il verificarsi delle emissioni illecite e inquinanti prodotte dallo stabilimento nell'arco temporale compreso tra il 1995 e il 2014. Secondo il collegio, le ricadute delle attività produttive hanno inciso in maniera documentata sul contesto urbano e sulla qualità della vita dei residenti, contribuendo a determinare un danno complessivo da valutare in maniera estesa e non limitata ai soli aspetti materiali.
Nel provvedimento, i giudici sottolineano anche la "prevedibile difficoltà di risoluzione" dei danni alla salute pubblica e alla sicurezza collettiva, con riferimento al lungo periodo di latenza delle malattie correlate all'esposizione prolungata a sostanze nocive. La Corte richiama inoltre il rischio maggiore per categorie vulnerabili, come bambini e adolescenti, e la complessità dei futuri interventi di bonifica, destinati a richiedere tempi significativi e a incidere in modo rilevante sia sull'ambiente sia sulla stabilità occupazionale dell'area industriale e dell'indotto. Il collegio qualifica tali elementi come basi ulteriori del danno all'immagine subito dalla città.