Entro i prossimi dieci anni, la popolazione in età lavorativa presente in Italia diminuirà di quasi tre milioni di unità (-7,8%). Ecco cosa dicono i dati
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Entro i prossimi dieci anni, la popolazione in età lavorativa presente in Italia diminuirà di quasi tre milioni di unità (-7,8%). L'analisi è stata realizzata dalla Cgia, che ha elaborato le previsioni demografiche dell'Istat. All'inizio del 2025 la fascia demografica 16-65 anni contava 37,3 milioni di persone, mentre si prevede che tale platea nel 2035 scenderà a 34,4 milioni. Il calo è attribuibile al progressivo invecchiamento della popolazione. Un fattore che, assieme all'instabilità geopolitica, alla transizione energetica e a quella digitale, provocherà contraccolpi preoccupanti per le imprese italiane nei prossimi anni.
La difficoltà, ad esempio, nel reperire giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è un problema sentito già oggi, figuriamoci tra un decennio. È importante sottolineare che chi spera in un'inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso, poiché non esistono misure efficaci in grado di modificare questa tendenza in tempi ragionevolmente brevi. Inoltre, nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà risolvere completamente la situazione. Di conseguenza, dobbiamo prepararci a un progressivo rallentamento del Pil. Va inoltre considerato che una società con una popolazione sempre più anziana e meno giovane dovrà affrontare un aumento rilevante della spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale, con implicazioni molto negative anche sui nostri conti pubblici.
Da qualche anno in tutto il Paese le imprese denunciano grosse difficoltà nel reperire personale qualificato da inserire nei propri organici. Nei prossimi anni, tuttavia, osserva la Cgia, il Mezzogiorno potrebbe incontrare meno problemi rispetto al Centronord. A differenza di quest'ultimo, infatti, il Sud e le Isole presentano tassi di disoccupazione e inattività significativamente elevati, che potrebbero consentire di colmare almeno parzialmente le lacune occupazionali previste soprattutto nel settore agroalimentare e in quello turistico-ricettivo. È altresì evidente che molte aziende, in particolare quelle di piccole dimensioni, saranno costrette a ridurre gli organici a causa dell'impossibilità di procedere ad assunzioni. Per quanto riguarda le medie e grandi imprese, invece, la problematica potrebbe risultare meno rilevante: grazie alla possibilità di offrire salari superiori alla media, orari flessibili, benefit e pacchetti significativi di welfare aziendale, i giovani presenti sul mercato del lavoro tenderanno a preferire le realtà più strutturate piuttosto che le piccole e micro imprese che solo in piccola parte sono in grado di erogare tali benefici.
Un Paese con una popolazione in progressivo invecchiamento potrebbe affrontare, nei prossimi decenni, significative sfide nel mantenimento dell'equilibrio dei conti pubblici, soprattutto a causa dell'incremento delle spese sanitarie, pensionistiche, farmaceutiche e assistenziali. La CGIA sottolinea che una ridotta presenza di giovani under 30 e un'alta incidenza di over 65 potrebbero determinare ripercussioni negative su settori economici strategici, comportando una contrazione strutturale del Pil. Considerando la minore propensione alla spesa tipica della popolazione anziana rispetto a quella giovanile, una società prevalentemente composta da persone in età avanzata rischia di ridurre il volume d'affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo. Al contrario, il settore bancario potrebbe essere tra i pochi a beneficiare di alcuni effetti positivi: grazie a una maggiore inclinazione al risparmio rispetto alle altre coorti anagrafiche, la popolazione anziana potrebbe incrementare il valore economico dei propri depositi, favorendo così le istituzioni creditizie.
Secondo l'elaborazione della CGIA, le contrazioni della popolazione in età lavorativa più importanti riguarderanno, in particolare, il Mezzogiorno. Dei tre milioni di persone in meno che occuperanno la fascia anagrafica tra i 15 e i 64 anni, la metà interesserà le regioni del Sud. Lo scenario più critico investirà la Sardegna che entro il prossimo decennio subirà una riduzione di questa platea di persone del 15,1 per cento (-147.697 persone). Seguono la Basilicata con il -14,8 per cento (-49.685), la Puglia con il -12,7 per cento (-312.807), la Calabria con il -12,1 per cento (-139.450) e il Molise con il -11,9 per cento (-21.323). Per contro, le regioni meno interessate da questo fenomeno saranno il Trentino Alto Adige con il -3,1 per cento (-21.256) la Lombardia con il -2,9 per cento (-189.708) e, infine, l'Emilia Romagna con il -2,8 per cento (-79.007). A livello provinciale, invece, la flessione più importante si verificherà a Nuoro con il -17,9 per cento. Seguono la Sud Sardegna con il -17,7, Caltanissetta con il -17,6, Enna con il -17,5 e Potenza con il -17,3. In valore assoluto la provincia che subirà la perdita più importante è Napoli con -236.677 persone. Tra le province meno interessate dalla contrazione segnaliamo Bologna con il -1,4 per cento, Prato con il -1,1 e, infine, Parma con il -0,6.