Virus scongelati: gli effetti dello scioglimento del permafrost
In Siberia negli scorsi mesi a causa dell’innalzamento delle temperature e del conseguente scioglimento del permafrost dei ricercatori francesi hanno scoperto un virus risalente a 48500 anni fa
Gli inverni sempre più miti e le estati ancora più roventi hanno riportato d’attualità una tematica che non si può sottovalutare. Lo scioglimento dei ghiacciai, oltre ai tristemente noti problemi come l’innalzamento dei livelli dei mari, comporta altre situazioni che l’uomo non può ignorare, perché possono mettere a rischio la salute.
Il permafrost è uno strato di suolo perennemente ghiacciato, tipico delle regioni fredde come la Siberia. E proprio in Siberia negli scorsi mesi a causa dell’innalzamento delle temperature e del conseguente scioglimento del permafrost, dei ricercatori francesi hanno scoperto un virus risalente a 48500 anni fa. Il più antico di sempre: un Pandoravirus, un virus gigante che ha ripreso vita dopo secoli e secoli.
Il problema in queste situazioni è che le capacità infettive rimangono intatte, nonostante il lungo periodo trascorso in stato di congelamento. In questo caso specifico non c’è rischio per la salute, perché il Pandoravirus può infettare solo gli organismi chiamati amebe, ma non piante e animali. È anche vero che gli scienziati possono sfruttare questa situazione per analizzare e studiare batteri e virus, giocando d’anticipo. Ciò che è rimasto sepolto negli anni rappresenta infatti una sorta di capsula del tempo e molto spesso è meglio non aprirla. Purtroppo, però, il riscaldamento globale comporta anche questo rischio.
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