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Bitcoin, i consumi di uno stato digitale

Il consumo energetico delle criptovalute è aumentato del 900% negli ultimi 5 anni ed è raddoppiato rispetto a 2 anni fa, raggiungendo circa lo 0,4% del consumo elettrico mondiale

Bitcoin, i consumi di uno stato digitale<br />
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Pexels

Pur trattandosi di materia digitale, quindi intangibile, è una delle attività più inquinanti al mondo e, adesso, l'Europa prova a passare alle maniere forti contro il Bitcoin e nella fattispecie quell'attività chiamata “mining” (o estrazione) che oltre che avere enormi impatti ambientali è anche fortemente energivora in un momento in cui l'energia nel nostro continente scarseggia e vale oro. Nel documento pubblicato dalla Commissione Europea si legge che il consumo energetico delle criptovalute è aumentato del 900% negli ultimi 5 anni ed è più o meno raddoppiato rispetto a 2 anni fa, raggiungendo circa lo 0,4% del consumo elettrico mondiale. Se l’inverno sarà particolarmente pesante in tema di consumi energetici, sostiene Bruxelles, gli Stati saranno autorizzati a fermare completamente le attività di mining o nuova creazione delle criptovalute.

Tra il 2016 e il 2021 l’estrazione di Bitcoin, la più popolare delle criptovalute, ha provocato danni ambientali per oltre 12 miliardi di dollari. Il loro uso è più inquinante dell’allevamento dei bovini ed è confrontabile con l’estrazione del petrolio. Questo riporta una nuova analisi realizzata da ricercatori dell’università del New Mexico: per produrre nuovi Bitcoin si richiede l’uso di calcolatori impegnati a realizzare semplici ma lunghissimi calcoli via via più difficili al crescere del numero di criptovaluta in circolazione. Calcoli che richiedono molta energia, talmente tanta che nel 2020, si rileva nello studio, la produzione ha utilizzato a livello globale 75,4 Terawatt (TWh) ora di elettricità, più di quanto consumato in un anno in una nazione come l’Austria e un quarto dell’Italia.

Mettendo in relazione le emissioni prodotte dai Bitcoin con il loro valore di mercato i ricercatori hanno stimato che nel maggio 2020 i danni climatici prodotti dall’estrazione di un singolo pezzo ha addirittura superato del 50% il prezzo stesso della moneta. In media i costi ambientali dei Bitcoin rappresentano il 35% del loro valore di mercato, un dato vicino all’impatto dell’estrazione del petrolio (41%) e superiore alla produzione di carna bovina (33%). Per questo la Commissione Europea predilige la moneta virtuale Ethereum che poggia su una architettura cosiddetta “Proof of Stake” che arriva a ridurre il quantitativo di risorse impiegate del 99%. Una scelta obbligata dalla tutela dell'ambiente ma, visto il contesto energetico europeo, anche dall'imperativo di ridurre al minimo i consumi non necessari.

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