© Andrea Verzola
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A Palazzo Reale 300 opere tra foto vintage, disegni, oggetti, documenti, litografie per raccontare a 360 gradi la carriera dell'artista
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Man Ray non amava le definizioni. Grande figura poliedrica, protagonista della stagione artistica della prima metà del Novecento, è stato eccentrico e provocatorio nello stile e nei contenuti. Pioniere di linguaggi visivi, continua a influenzare l'arte, la fotografia, il design e la cultura contemporanea. Le sue fotografie imposero un nuovo modo di vedere e pensare, diventando un’estensione dell’arte figurativa. Palazzo Reale di Milano offre una grande retrospettiva su di lui: nella mostra "Man Ray. Forme di luce", visitabile fino all'11 gennaio, sono presenti 300 opere, fra foto vintage, disegni, oggetti, documenti, litografie che raccontano a 360 gradi la carriera dell'artista.
"Con questa grande retrospettiva, Milano rende omaggio a uno dei protagonisti assoluti dell'arte del Novecento, capace di ridefinire i confini della creatività con un linguaggio che ancora oggi parla con forza al nostro presente. Man Ray è stato un artista totale: pittore, fotografo, cineasta e sperimentatore instancabile, che ha saputo fondere eleganza e ironia, libertà e provocazione. Le sue immagini restano iconiche e attualissime, e Palazzo Reale diventa il luogo in cui il pubblico potrà ripercorrere, in tutte le sue sfaccettature, la parabola di un artista che ha attraversato e segnato le avanguardie internazionali", ha spiegato l'assessore alla Cultura Tommaso Sacchi.
Man Ray, nato a Philadelphia nel 1890 e morto nella sua Parigi nel 1976, dopo una vita passata a sperimentare mezzi diversi, generi diversi, sempre con ironia ed eleganza, ha giocato appunto con la luce. Iconiche le sue fotografie inizialmente scattate per documentare i suoi quadri e le sue opere, poi quelle dei suoi amici e diventate esse stesse opere d'arte, lineari ed elegantissime. Arrivato in Francia nel 1921, fu vicino a Marcel Duchamp e ai surrealisti come André Breton e Louis Aragon, conobbe le avanguardie, tanto che fu Tristan Tzara, fondatore del Dadaismo, a dare il nome di Rayografie alle immagini che Man Ray creava appoggiando oggetti direttamente sulla pellicola, senza macchina fotografica. Nella capitale francese passò i suoi anni migliori. Anni segnati dagli amori, i più importanti per Kiki di Montparnasse, Meret Oppenheim, Lee Miller, e dalla frequentazione della "corte" della marchesa Luisa Casati, sua mecenate. Dagli anni 30 iniziò a occuparsi di foto di moda, mondo che influenzò irreversibilmente come gli stilisti di cui immortalò le creazioni, da Elsa Schiapparelli a Coco Chanel, senza mai smettere di sperimentare, anche con il cinema con titoli come "Le Retour à la raison" (1923), "Emak Bakia" (1926), "L'Étoile de mer" (1928), "Les Mystères du Château de Dé" (1929).
Nella mostra sono ovviamente protagonisti i suoi principali temi e motivi ispiratori: gli autoritratti, dove l’artista gioca con la propria identità e costruisce personaggi ambigui e camaleontici; i ritratti degli amici intellettuali e degli ambienti culturali europei e americani tra le due guerre; la figura femminile, incarnata nelle sue muse, che attraversa tutta la sua opera come fonte di ispirazione e oggetto di sperimentazione visiva; i nudi, trattati come forme astratte, frammenti simbolici e composizioni di luce; le rayografie e le solarizzazioni, testimonianza della sua incessante ricerca tecnica e poetica; la moda, linguaggio in cui eleganza e avanguardia si fondono con naturalezza; i multipli e i ready-made, espressione della sua adesione allo spirito dadaista e della sua indifferenza verso l’unicità dell’opera d’arte; infine il cinema, territorio di libertà assoluta e sperimentazione pura, trova ampio spazio nell’esposizione, con la proiezione dei film. La mostra, curata da Pierre-Yves Butzbach e Robert Rocca, è promossa da Comune di Milano - Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, che ha anche pubblicato il catalogo.