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L'Hangar Bicocca di Milano "invaso" dai trenta igloo di Mario Merz

Per Merz l'igloo ricorda lo stadio primordiale della civiltà, quando ancora la vita dell'uomo era in simbiosi con la natura, quando la casa era nomade

L'Hangar Bicocca di Milano
ufficio-stampa

Nei seimila metri quadrati che compongono lo spazio dell'Hangar Bicocca a Milano, hanno trovato posto una trentina di Igloo di Mario Merz (1925-2003).

Più che di installazione occorrerebbe parlare di un vero e proprio villaggio, di un suggestivo accampamento di semisfere realizzate con i materiali più disparati: vetro, legno, ferro, pietra, luci... Si va dai primi igloo degli anni '60, come Acqua scivola (1969), una semplice e metafisica calotta in vetro e ferro da cui spunta un albero secco, fino alle evoluzioni degli anni novanta con l'inserto di luci al neon e di austere lastre di metallo, alle ultime realizzate nell'anno della sua morte.

Per Merz l'igloo ricorda lo stadio primordiale della civiltà, quando ancora la vita dell'uomo era in simbiosi con la natura, quando la casa era nomade, capace di risorgere ogni volta che si accampava e come un ventre accoglieva i suoi inquilini difendendoli dal rigore dell'inverno e dalle forze della natura. Era uno spazio circoscritto e minimale, ma che si riempiva del calore dei suoi abitanti e li univa in una spontanea promiscuità. Per questo possiamo tranquillamente dire che i suoi Igloo sono anche la metafora delle relazioni tra interno ed esterno, tra spazio fisico e spazio concettuale, tra individualità e collettività.

Merz, nonostante le innumerevoli versioni, non stravolge mai la tipica calotta semisferica, semmai ne modifica le dimensioni e di volta in volta la riveste – tutta o in parte - con materiali differenti rendendola trasparente e fragile con l'uso del vetro; dura e giurassica quando la ricopre con beole di pietra (la cui rigidità volutamente mal si adatta alle rotondità della struttura); peritura e gracile quando i muri sono fatti di materiali naturali (rami, cera, fango); bellica e spartana se coperta con sacchi di juta; sofisticata ed asettica quando nelle sue rotondità s'innestano piani dalle geometrie perfette.

I primi igloo nascono proprio sull'onda dell'uso di materiali di scarto e di riciclo, sono gli anni in cui Merz (ormai cittadino torinese, città in cui ancora oggi opera la Fondazione che porta il suo nome), invitato da Germano Celant, partecipa alle prime collettive dell'Arte Povera a fianco di Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Luciano Fabro e Giulio Paolini. Nel tempo a quei materiali umili e precari, Merz sostituisce prodotti più solidi e costosi, appositamente realizzati per quelle primigenie dimore. Tuttavia, mantenendo integre le peculiari sensazioni di instabilità e provvisorietà che connotano le originarie dimore polari, nel tempo Merz le trasforma in lucidi teoremi e in poetici racconti. Non a caso, amava definirsi manipolatore e alchimista proprio perché da quelle forme primordiali sapeva estrarre la pietra filosofale.

Mario Merz. Igloos
Hangar Bicocca
23 ottobre 2018-24 febbraio 2019