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Un viaggio culinario da Nord a Sud per riscoprire il piatto più semplice della nostra tradizione

Nei tortellini, di gallina o di cappone, il brodo è stato ancora una volta protagonista delle nostre tavole durante le festività natalizie: ma quanto ne sappiamo?

Un piatto tradizionale dalle umili origini

Acqua rigorosamente fredda (i tempi di cottura si calcolano solo dall’inizio del bollore) e aromi (sedano, carota ma anche limone, chiodi di garofano e cannella nelle versioni gourmet): ingredienti essenziali per un piatto tradizionale e dalle umili origini, rivisitato da ogni Regione che ne presenta una versione sempre gustosa e saporita.

La community W Il pollo le ha raccolte tutte per fare un viaggio gastronomico dal Nord al Sud del nostro Paese attraverso uno dei piatti più semplici della cucina.

 

Il viaggio parte dalla Liguria, dove a Natale non possono mancare i natalini in brodo (Natalin in to broddo), speciali maccheroni lunghi che vengono serviti nel brodo di cappone ed accompagnati talvolta da polpettine o bocconcini di salsiccia.

 

Considerato un piatto portafortuna perché rappresentava le palanche, ovvero ricchezza, la tradizione vuole che i natalini non vadano mai spezzati prima di essere cotti nel brodo. Sono presenti più variazioni in Lombardia, che si divide tra il capoluogo che opta per i tipici ravioli in brodo, Como che si schiera per un tortello e Brescia per i famosi casoncelli.

 

Il territorio emiliano si divide tra vari formati di pasta, con gli anolini a Piacenza, i tortellini a Bologna e i cappelletti di magro a Ravenna. Questi ultimi, chiamati anche caplèt, hanno una storia antichissima che risale al 1811 nell’inchiesta napoleonica e sono chiamati così per il modo in cui sono chiusi, ovvero a cappello.

 

Il brodo di cardi e volarelle è invece il re della tavola abruzzese, piatto che gode di una certa sacralità: la ricetta originale, oltre alla carne di pollo o di tacchino per realizzare il brodo, vuole pane a dadini oppure le volarelle, caratteristici quadrucci di pasta all’uovo fritti, assieme a cardi, polpettine e formaggio pecorino.

 

Anche nella vicine Molise, non può mancare la zuppa di cardi, che accompagna altre pietanze del luogo come la Pizza di Franz, un brodo di cappone arricchito da un impasto a base di uova, parmigiano e prezzemolo cotto al forno.

 

Arriviamo al sud, dove la cicoria della Campania diventa l’ingrediente principale della minestra maritata, a cui si aggiungono anche scarola e “borraccia” (erba amara) in brodo di gallina. Piatto della tradizione povera, che usava erbe spontanee o gli scarti della carne, la minestra napoletana si chiama così perché carne e verdura si “sposano” in un sapore unico e speciale. Una versione facoltativa della ricetta prevede anche il cosiddetto ‘mbuttun, una farcia della gallina preparata appositamente con uova, pinoli, carne, verdure e formaggio.

 

Ritornano i cardi nella regione lucana, che accompagnano scarole e verze cotti in brodo di tacchino, mentre in Puglia ci si divide tra i taglioni in brodo di tacchino tipicamente foggiani e i mille infranti “ù tridd” in brodo di Molfetta nel giorno di Santo Stefano, un formato di pasta fresca che prende il nome da un antico albergo egiziano il cui nome era Tridda.

 

Simbolo di umiltà e della fatica dei contadini, oggi il brodo si presta a essere rivisitato in versioni sempre più sorprendenti e sofisticate, diventando un vero e proprio codice linguistico che evidenzia la straordinaria diversità della nostra gastronomia e l’imprescindibile legame con le materie prime offerte dal territorio.

 

Di Indira Fassioni

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