Gran Canaria, l’autunno dei sensi: un’isola di microclimi, rum, caffè e banane
© Ufficio stampa | Mulino gofio
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Gran Canaria è spesso chiamata il “continente in miniatura”, non per esagerazione, ma per la sua reale varietà ambientale
A Gran Canaria, Infatti, secondo fonti autorevoli, l’isola presenta almeno 14 microclimi distinti che si alternano fra costa, montagna, nord e sud, modellando paesaggi, ecosistemi e la stessa cucina locale. In autunno, quando il clima si fa meno afoso e i turisti si diradano, questa varietà si esalta. È il momento ideale per scoprire Gran Canaria a tavola, lasciandosi sorprendere da sapori autentici e unici: il rum di Arucas, le banane IGP e il caffè di Agaete, esperienze che parlano di tradizione, innovazione e territorio.
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Ad Arucas, le piantagioni di banane, il celebre Plátano de Canarias IGP, si stendono come piccole onde verdi sotto il cielo autunnale. Più piccolo e dolce delle varietà tropicali, questo frutto è ricco di vitamine e minerali, e racconta un’identità agricola che qui è radicata e viva.
All’Hacienda La Rekompensa e nel museo Mundo del Plátano si visita un mondo dietro al frutto: varietà rare, storie contadine, e il sorprendente Platé, un vino bianco (anche frizzante) che unisce banana e frutto della passione, capace di stupire anche il palato turistico più esperto.
Sempre ad Arucas, la Distilleria Arehucas, fondata nel 1884, è una vera cattedrale del rum. L’autunno è il momento perfetto per visitarla: il silenzio avvolgente e le luci calde fanno percepire l’anima della produzione.
La melassa fermenta lenta, gli alambicchi in rame riproducono antichi riti, e poi ci sono le cantine: oltre 6.000 botti di rovere americano riposano, alcune autografate da celebrità come Plácido Domingo, Johan Cruyff, Tom Jones o Willy Brandt.
Il gioiello della distilleria è il Capitán Kidd, un rum imbottigliato direttamente dal legno in cui matura fin dal 1983: note di spezie, frutta secca, legno tostato e oceano, in un sorso che racchiude decenni di storia e tradizione.
Degustarlo in autunno significa viverlo come un rito: lento, sensoriale, quasi meditativo — come un saluto caldo all’inverno in arrivo.
Se le banane sono il frutto identitario e il rum la memoria liquida, nella valle di Agaete si nasconde la vera sorpresa: l’unico caffè coltivato in Europa. Alla Finca La Laja, le piante di arabica prosperano grazie a un microclima straordinario, tra montagne e oceano, all’ombra di alberi di mango, avocado, guava e aranci.
La coltivazione è artigianale e familiare, con raccolta manuale ed essiccazione naturale dei chicchi. I volumi sono limitati, tanto che questo caffè è difficile da trovare al di fuori dell’isola: un vero tesoro per chi visita Gran Canaria.
Il suo profilo sensoriale è sorprendente: morbido, elegante, con note floreali e agrumate, acidità leggera e corpo vellutato. Lontano dalla potenza dei caffè tropicali, ma unico proprio per la sua delicatezza. È un caffè che racconta un territorio più che una varietà: bere una tazza di Agaete significa assaporare il paesaggio stesso della valle.
Un’esperienza che diventa ancora più speciale grazie alla vicina Bodega Los Berrazales, dove sugli stessi terreni vulcanici crescono i vitigni autoctoni. Qui caffè e vino condividono il medesimo terroir, creando una simbiosi agricola rara. In autunno, degustarli insieme è un viaggio nei sensi: la carezza del caffè, la mineralità del vino, la brezza dell’Atlantico che accompagna ogni sorso.
Se rum, banane e caffè sono i tre simboli che sorprendono chi arriva, è nella cucina tradizionale che Gran Canaria svela la sua anima quotidiana. Piatti semplici, nati dalla terra e dal mare, che diventano identità e memoria collettiva.
Le papas arrugadas con mojo sono il biglietto da visita dell’isola: piccole patate cotte in acqua salata fino a far raggrinzire la buccia, da mangiare con la pelle e intingere nel mojo picón rosso, piccante, con paprika, aglio e cumino o nel mojo verde, fresco di coriandolo e prezzemolo. Un piatto povero, eppure imprescindibile, che parla di convivialità.
Il sancocho canario è invece il piatto delle feste: pesce salato cucinato lentamente con patate e batate (le patate dolci locali), servito con il gofio. Ricetta che unisce le famiglie, scandisce le celebrazioni e custodisce l’essenza della cucina popolare.
E proprio il gofio, farina di cereali tostati, è l’ingrediente identitario delle Canarie. Lo si incontra ovunque: nei dolci, nei contorni, perfino nel latte del mattino. Ma è nell’escaldón de gofio che trova la sua massima espressione: un impasto caldo ottenuto versando brodo di carne o pesce sulla farina, piatto povero e nutriente, nato nelle case contadine.
Tra le minestre più amate, spicca il potaje de berros, zuppa di crescione d’acqua arricchita con patate, fagioli e carne, simbolo di un’isola che ha saputo trasformare ingredienti semplici in piatti carichi di sapore. Non manca il chorizo de Teror, salume morbido e spalmabile, condito con paprika e aglio, protagonista del mercato domenicale della cittadina in cui nasce: tradizione vuole che lo si gusti in un panino caldo, il famoso “bocadillo de chorizo”.
E per chiudere in dolcezza, i dessert sono veri scrigni di memoria. Il bienmesabe, crema di mandorle, miele, uova e un tocco di rum, vellutata e ricca, che si abbina perfettamente a un caffè di Agaete o a un bicchierino di Arehucas. Gli huevos moles, dolce antico e struggente, profumano di zucchero, cannella e limone. E a Tejeda, borgo incastonato tra montagne, le pasticcerie artigianali trasformano le mandorle locali in biscotti e torte che racchiudono l’autunno in un morso.
Gran Canaria in autunno è una scoperta gastronomica che sorprende davvero. È un’isola che racconta sé stessa con la dolcezza di una banana diventata vino, la profondità di un rum centenario e la rarità di un caffè europeo. Tra microclimi diversi e un territorio che cambia a ogni passo, si svela la sua anima più vera: da assaporare, lentamente, a piccoli sorsi e morsi.
Di Indira Fassioni