Ca’ del Profeta, dove il plin più buono del Monferrato porta il nome di un bambino
© Ufficio stampa
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Si chiama “Plin Matteo”, lo firma Antonio Di Leo: coda di bue, midollo e dragoncello per un gesto d’amore che parla prima al cuore che al palato
Ci sono piatti che ti colpiscono. E poi ci sono quelli che restano. Il “Plin Matteo” di Antonio Di Leo è così: quando finisce, ti accorgi che non vorresti finisse mai. Si mangia a Ca' del Profeta, wine resort immerso tra i vigneti biologici di Montaldo Scarampi, pochi chilometri da Asti. Un luogo curato, silenzioso, dove ogni dettaglio ha un senso. Il “Plin Matteo” è più di un agnolotto: è una dedica. A Matteo, il figlio di Anderson Hernanes, ex calciatore, oggi produttore di vino e anima del relais.
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Lo ha creato Antonio Di Leo, chef torinese classe 1984, con esperienze internazionali ma radici profondamente piemontesi. Dentro, coda di bue, salsa al midollo, un ristretto intenso e una punta di dragoncello. Un piatto che racconta identità, affetto e radici.
"Mi piacciono i piatti che sembrano semplici e poi si rivelano. Come certe persone: non si fanno capire subito, ma restano."
Quella di Di Leo non è una cucina che vuole stupire. È una cucina che sa ascoltare. Ogni piatto nasce da una domanda: che storia voglio raccontare?
La sua è una mano precisa, calibrata, quasi chirurgica. Una precisione da laboratorio di pasticceria, ma al servizio dell’emozione.
Nel piatto Contaminazioni, ad esempio, trovi scorza nera avvolta in alga nori, rapa marinata in stile orientale, barbabietola affumicata su bagna cauda all'aglio nero. È il Piemonte che guarda lontano ma sa sempre tornare a casa.
Nel diaframma alla brace con fondo al caffè, cipolla caramellata e acciuga, il fuoco incontra la memoria. E la melanzana, da semplice ortaggio contadino, diventa materia nobile: trattata, asciugata, stratificata.
E poi c’è lo spaghetto al limone, apparentemente essenziale, costruito su acidità e silenzio. Un piatto che non vuole farsi notare, ma farsi ricordare. È una dedica anche questo, al suo vissuto milanese, a chi ama la purezza nel piatto.
I sapori sono nitidi, riconoscibili, mai urlati. La tecnica c’è, si sente, ma non invade.
C’è chi ricorderà il risotto al peperone dolce con stracciatella e riduzione intensa.
O il baccalà “beans & beans”, costruito su due consistenze e due temperature.
Ma quello che resta non è l’elenco: è l’idea che ogni piatto, anche il più semplice, racconti chi lo ha pensato e cucinato.
Antonio Di Leo è uno chef che rifugge l’esibizione: parla poco, ma con i piatti dice tutto. Ha un modo gentile di trasformare ingredienti umili, come i vegetali, in esperienze complesse.
Fuori c'è il paesaggio: le colline, i filari, il cielo che cambia colore. Dentro, la sala è luminosa ma raccolta. Si parla piano. Si beve Grignolino, Dolcetto, Barbera, tutti prodotti in loco.
Tra questi, il Grignolino merita un’attenzione speciale: è tra i migliori della zona. Snello ma vibrante, con tannini sottili e una chiusura leggermente nervosa, è un vino che racconta il Monferrato con eleganza e carattere.
Hernanes ci crede profondamente, lo cura con attenzione e lo propone con orgoglio accanto ai piatti più delicati e identitari dello chef.
In sala c'è Jasmina, moglie di Hernanes, che accompagna l’esperienza con eleganza e discrezione. Racconta i piatti con grazia, come chi li ha vissuti, non solo studiati. È lei a creare quel filo gentile tra cucina e ospite.
Perché a Ca’ del Profeta ogni piatto è un biglietto scritto a mano: non tutto si capisce subito, ma qualcosa ti resta. Un sapore, una consistenza, una dedica.
E il Plin Matteo, più di tutti, te lo dice forte e chiaro:
la meraviglia non fa rumore.
Assomiglia a un bambino che scopre il mondo, un agnolotto alla volta.
Di Indira Fassioni