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3 stelle Michelin: ecco tutti i ristoranti italiani
 

Il prestigio di una selezione che premia la ricerca, l'attenzione e la capacità imprenditoriale della gastronomia italiana

Tavoli blasonati 

Nata come piccolo libro rosso concepito con l’intenzione di incoraggiare gli automobilisti a mettersi in viaggio, quella che conosciamo come la più iconica e prestigiosa guida gastronomica di sempre si deve a un’idea dei fratelli francesi André ed Edouard Michelin, che nel 1889 fondano l’eponima azienda di pneumatici, motivati da una grande visione per l’industria automobilistica del Paese.

A pochi mesi dalla cerimonia di presentazione della nuova guida 2020, vi portiamo alla scoperta di tutti i ristoranti che attualmente detengono le 3 stelle (il massimo riconoscimento della Rossa) nel Bel Paese.

 

 

Enrico Bartolini, Mudec di Milano

 

Ultimissima new entry, il ristorante di Enrico Bartolini, al terzo piano del MUDEC – Museo delle Culture di Milano, nel cuore del design district, può vantarsi, tra le altre cose, di aver riportato le 3 stelle nel capoluogo lombardo, dopo più di venticinque anni.

 

Classe 1979, originario di Castelmartini (in Toscana), Bartolini ha conquistato la sua prima stella nel 2010 a Le Robinie, nell’Oltrepò Pavese, e poi nel 2011 al ristorante Devero, dove è arrivata anche la seconda nel 2014. Nel 2017 approda al MUDEC, confermando la seconda stella e guadagnando la terza nell’edizione 2020 della Rossa. 

 

Quasi a riflettere il carattere schivo e introverso dello chef toscano, l’apparente sobrietà della carta (che è un viaggio nella cultura gastronomica più raffinata) cede presto il destro a piatti di sconfinata fantasia, dove il protagonista può essere un solo ingrediente o una girandola di prodotti, mentre le presentazioni assumono il carattere di autentici quadri. Il tutto all’interno di un ambiente intimo ed elegante, esaltato da toni caldi e naturali e da sedute dalle linee fluide e avvolgenti in morbide pelli e cuoio.

 

 

Da Vittorio, Brusaporto

 

È una bellissima storia di famiglia, e di talento, quella del ristorante Da Vittorio, a due passi da Bergamo. Il talento di Vittorio Cerea che, nel 1966, insieme alla moglie Bruna, aprì il suo ristorante nel centro di Bergamo. Era il 1966 e la cucina di pesce, diventata uno dei fiori all'occhiello del locale, ancora faticava a trovare spazio nei menù, oscurata dal primato delle carni.

 

Fu una scommessa grande, vinta grazie ad approvvigionamenti quotidiani ed elaborazioni squisite. Bergamo divenne rapidamente una tappa imprescindibile per gli appassionati del buon mangiare, e insieme al successo arrivò anche la prima stella Michelin (nel 1978), raddoppiata, insieme al crescere di votazioni e giudizi dei più prestigiosi critici gastronomici italiani e stranieri, nel 1996. Oggi il ristorante è gestito dai figli di Vittorio, Enrico e Roberto Cerea, e dagli altri tre fratelli.

 

Il filo conduttore dei menù che i fratelli Cerea aggiornano e rivoluzionano insieme al divenire del mercato e delle stagioni è ben rappresentato dal concetto "Tradizione lombarda e genio creativo"; le materie prime sono di altissimo livello e c’è spazio per i palati e le preferenze più diverse: carni e pesci, selvaggina e fruits de mer, tartufi e funghi ma anche piatti di verdure, tutti declinati con uno stile originale e sensibile anche alle nuove frontiere della cucina del benessere.

 

 

Uliassi, Senigallia

 

Un ristorante di mare sul mare, tra il porto canale e la spiaggia di Senigallia. Dove Mauro Uliassi, incoronato 3 stelle Michelin dalla guida del 2019, è nato e cresciuto. Insieme alla sorella Catia, con la quale, nel 1990, ha aperto il Ristorante Uliassi, un luogo magico e bello sempre, in tutte le stagioni: con il vento o con la pioggia, con la neve oppure quando le giornate sono immobili sotto il sole dell’estate.

 

Semplice e contemporanea, la loro cucina affonda le radici nelle tradizioni della Riviera Adriatica, giocando con le contaminazioni. Si ispirano al profumo del mare, ma amano cimentarci anche nella selvaggina, con specialità come l’Oca laccata al te di ciliegia, ananas, lime e menta, il Colombaccio con mele, alla cannella e granatina di cipolle, fino ai golosissimi Ravioli di finanziera selvatica, nocciole e fondo di selvaggina.

 

Ogni anno, 10 piatti inediti si affiancano al percorso Classico delle proposte storiche. Tra le quali c’è il Wafer di fegato grasso d’anatra e nocciole, la Ricciola alla Puttanesca, la Triglia croccante con zuppa di prezzemolo e rabarbaro candito e il piatto creativo Il mare dentro, fatto di trippe di baccalà, trippe di rana pescatrice, cuore di rombo, fegato di merluzzo, fegato di seppie lattume di rombo.

 

 

Piazza Duomo, Alba

 

Situato nel cuore del centro storico di Alba, in un palazzo del 1600 restaurato, Piazza Duomo è il ristorante della famiglia Ceretto, che il giovane chef brianzolo Enrico Crippa ha portato al massimo riconoscimento gastronomico di sempre, e alla conquista di un posto nella World's 50 Best, come uno dei migliori ristoranti del mondo.

 

Classe 1971, originario di Carate Brianza (Lombardia), Crippa ha collaborato con alcuni tra i più grandi chef europei: Christian Willer, Gislaine Arabian, Michel Bras, Antoine Westermann, Ferran Adrià e Gualtiero Marchesi, per il quale avvia il ristorante di Kobe nel 1996. Nel 2003 l’incontro con la famiglia Ceretto, e nel 2006 la prima conferma del suo talento (con la prima stella Michelin).

 

Appassionato del mondo vegetale, tanto da coltivare e attingere le materie prime dall’orto, biologico e biodinamico, del ristorante – ai piedi dell’azienda vitivinicola Ceretto – nei suoi piatti lo chef racconta, senza retorica, l’impegno dei suoi coltivatori e allevatori, un impegno che si esprime in un felice connubio di creatività, ricerca continua, materie prime d’eccellenza e, soprattutto, territorio. Dove a segnare il ritmo del percorso è l’alternarsi di temperature, tecniche di cottura e consistenze.

 

 

St. Hubertus, San Cassiano

 

Novità della Guida Michelin 2018, il St. Hubertus è il ristorante dell’Hotel Rosa Alpina a San Cassiano, piccolo paesino incastonato tra le Dolomiti in Alta Val Badia. Ai suoi fornelli c’è Norbert Niederkofler, classe 1961, originario di Lutago, villaggio di montagna in provincia di Bolzano, a spasso tra Germania, Stati Uniti, Svizzera e Austria, fino ai primi anni Novanta, quando decide di fare ritorno nella sua regione. Dove porta avanti la sua filosofia di cucina local all’insegna della territorialità e della stagionalità.

 

Nei suoi piatti si sentono infatti la natura, la cultura e i gusti schietti e intensi delle sue montagne, la fatica e la passione dei contadini e degli allevatori, le tradizioni e i metodi tramandati, il calore dei masi. Piatti socialmente responsabili, ancora di più da quando, nel 2013, lo chef ha deciso di seguire la filosofia “Cook the mountain”, un grande progetto di promozione e valorizzazione della gastronomia montana, con tutto il suo indotto. E di fondare Care’s – The ethical chef days, il primo congresso che s'interroga sugli orizzonti etici di un cuoco.

 

 

Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio

 

Primo ristorante italiano ad aver conquistato le 3 stelle, che si tiene strette dal 1996, Dal Pescatore è il ristorante della famiglia Santini, situato nella campagna mantovana, per la precisione a Runate, frazione del comune di Canneto sull’Oglio, tra prati, terreni coltivati e cascine. Nato un centinaio di anni come piccolo posto di ristoro in un casale ristrutturato, vede in cucina il talento di Nadia Santini, che lavora nel ristorante della famiglia del marito da trent’anni, e che, nel 2013, è stata incoronata miglior chef donna del mondo, comparendo con il suo ristorante nella lista dei World's 50 Best Restaurants, otto volte negli ultimi dieci anni.

 

Ora, al timone, c’è suo figlio Giovanni, che ne ha ereditato in pieno non solo lo stile, ma anche il messaggio etico, che vede nel cibo un valore da condividere, un messaggio da trasmettere legato al territorio, un atto d’amore verso gli ospiti. Al bando quindi svolazzi eccessivamente tecnici o creativi, che in questo contesto appaiono sterili e artificiosi, e largo spazio invece alla tradizione eseguita ai massimi livelli, con qualche spunto più innovativo qua e là.

 

 

Le Calandre, Sarmeola di Rubano

 

C’è un’altra storia di famiglia al centro di un altro tempio della gastronomia nostrana: Le Calandre, il ristorante dei fratelli Alajmo, Massimiliano e Raffaele, aperto a Rubano (provincia di Padova) nel 1981 da papà Erminio e da mamma Rita (Chimetto), ex cuoca e pasticcera, ora cuore pulsante e laboratorio di ricerca del gruppo Alajmo, fondato attorno ai principi di cucina cari a Max,              leggerezza, profondità dei sapori, fluidità, rispetto degli ingredienti per cogliere l’essenza materia.

 

In una sala dall’eleganza minimalista, dove tutto è stato disegnato dai due fratelli e realizzato in collaborazione con alcuni artigiani italiani, la cucina de Le Calandre si fa ricordare per i suoi grandi equilibri e la capacità di coniugare sapori antichi con gusto moderno, in un’armonia che la rende unica e irripetibile. Nel 2002 Massimiliano è diventato il più giovane chef tri-stellato d’Europa e da allora l’eccellenza è diventata il suo dogma.

 

La sua specialità più iconica? Il risotto con polvere di liquirizia e zafferano – creato per la gentile consorte e continuamente rielaborato a seconda della stagione – che Andy Hayler, l’uomo che ha mangiato in tutti i ristoranti 3 stelle Michelin del mondo, ha eletto come il suo piatto preferito di sempre.

 

 

Osteria Francescana, Modena

 

Non ha certo bisogno di presentazioni lo chef italiano salito alla ribalta mondiale negli ultimi anni, proprietario dell’Osteria Francescana a Modena, dodici tavoli nel centro storico della cittadina emiliana, e primo ristorante al mondo nella lista dei World’s 50 Best Restaurants per due anni, nel 2016 e nel 2018.

 

Fa incetti di premi Massimo Bottura, modenese doc riconosciuto per la sua cucina ma anche per l’etica e l’impegno nel sociale, grazie al meraviglioso progetto Food For Soul, organizzazione no-profit che, lottando contro lo spreco alimentare, crea mense per i più bisognosi in tutto il mondo. La cucina di Massimo Bottura parla di storie che si sovrappongono: da quella personale a quella della grassa Emilia, dalla cucina italiana tout court alle lezioni apprese nei numerosi viaggi da globe trotter.

 

Con un posto d’onore per i grandi classici: bollito, zampone, lambrusco e la mitica pasta preparata giornalmente dalle sfogline, piatti della memoria che lo chef non si vieta di riproporre, con tutta la sua filosofia e creatività, nelle due salette del ristorante in via Stella.

 

 

La Pergola, Roma

 

Sono 25 anni che il tedesco Heinz Beck lavora a La Pergola, primo e unico ristorante 3 stelle della Capitale, all’interno del Rome Cavalieri. Nato in Germania nel 1963, è qui che lo chef, maestro di cucina e amante dell’arte in ogni sua declinazione, inizia la sua brillante carriera, ma è nel nostro Paese che ottiene i primi, importanti riconoscimenti. 

 

Originalità e intelligenza lo impongono da subito nella grande cucina internazionale, e italiana in particolare, con un percorso che lo porterà alla creazione di un proprio stile che oggi lo rende unico. Le sue regole? Rigore ed equilibrio, ai fornelli così come nella vita. Il loro rispetto meticoloso, uniti al suo talento e alla creatività, diventano tecnica riconosciuta in ogni letteratura gastronomica.

 

Tra porcellane, arazzi, tele pregiate, candelabri di bronzo e collezioni di vetro soffiato, a La Pergola si assaporano piatti autentici della tradizione italiana e mediterranea.

 

 

Enoteca Pinchiorri, Firenze

 

È da qui che passa la storia della cucina italiana. La storica e celeberrima maison Enoteca Pinchiorri, di madame Annie Féolde (prima donna a ricevere le 3 stelle in Italia) e consorte, Giorgio Pinchiorri, ospitata tra le mura del settecentesco palazzo Jacometti-Ciofi di Firenze, è da oltre trent’anni ai vertici della ristorazione italiana e internazionale grazie a un incessante rinnovamento guidato da una giovane ma fedele brigata.

 

La cucina, ora capitanata dallo chef Riccardo Monco (qui da venticinque anni), dopo l’abbandono di Italo Bassi, è rigorosamente italiana, in bilico tra classico e moderno, con piccole contaminazioni nipponiche e un omaggio di ringraziamento alla Francia (per l’assegnazione della Légion d’Honneur) reso con due piatti tipici della sua tradizione: la bouillabaisse e la terrina di fegato grasso.

 

Si gioca molto sul sicuro: materie prime ottime, cotture perfette, presentazioni accattivanti e, ultimo ma non ultimo, porzioni generose. La cantina, poi, è la più bella e rinomata del mondo, con una vasta collezione di preziose bottiglie raccolte dalla coppia in quasi cinquant’anni di vita.

 

 

Reale, Castel di Sangro

 

Studente di economia prima, chef autodidatta poi, e imprenditore di successo oggi, Niko Romito nasce a Castel di Sangro, in provincia dell’Aquila, dove il padre ha una pasticceria che, dopo trent’anni, con l’aiuto dell’inseparabile sorella Cristiana, Romito trasforma nella prima versione del suo fortunatissimo Reale. La cui rivoluzione comincia nel 2004, quando la cucina abbandona il concetto di osteria di montagna per abbracciare un’espressione più personale e ricercata.

 

Da allora iniziano ad arrivare, uno dopo l’altro, i primi riconoscimenti. Nel 2011, il Reale si trasferisce a Casadonna, un ex monastero del ‘500 che domina la valle di Castel di Sangro e contemporaneamente nascono la Niko Romito Formazione, scuola di alta formazione e specializzazione professionale, e una struttura ricettiva con sei camere di charme. Attraverso una ricerca incessante e con uno spiccato approccio imprenditoriale, Romito percorre la strada dell’essenzialità, dell’equilibrio e del gusto.

 

In poco tempo, lo chef abruzzese ha saputo creare un linguaggio gastronomico incisivo e personale, e un sistema complesso in cui coesistono alta cucina, format di ristorazione diffusa, formazione superiore e prodotti per il consumo domestico.

 

Di Indira Fassioni

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