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Giappone, riapre la caccia alle balene dopo oltre trent'anni

Il Sol Levante ha formalizzato lʼuscita dalla Commissione internazionale sulla caccia ai cetacei, alla quale aveva aderito nel 1988. Nel frattempo ha però continuato a uccidere i cetacei per quella che è stata definita "ricerca scientifica"

Giappone, riapre la caccia alle balene dopo oltre trent'anni - foto 1
ansa

Per la prima volta in oltre trent'anni, i battelli giapponesi sono salpati per la caccia delle balene a fini commerciali.

La decisione è stata presa dopo l'uscita formale dalla Commissione internazionale sulla caccia ai cetacei formalizzata domenica. Dal 1988 Tokyo aveva comunque continuato a uccidere le balene per quella che viene definita "ricerca scientifica": secondo alcuni esperti una copertura per incentivare il mercato della carne di balena.

Fin dalle prime ore del mattino diverse imbarcazioni hanno preso il largo dal porto di Shimonoseki e dalla località di Kushiro, scatenando la denuncia da parte delle organizzazioni ambientaliste.

Caccia limitata - Per prevenire la caccia selvaggia, l'Agenzia nazionale della pesca ha fissato delle quote per la cattura massima di 227 balene da qui a fine anno. In questo modo le autorità spiegano che "si potrebbe continuare la pratica per altri cento anni senza impattare la loro sostenibilità". Il ministro dell'Agricoltura giapponese, Takamori Yoshikawa, ha ricordato gli impegni a rispettare i limiti e a far ripartire l'industria alimentare.

Il consumo di carne di balena in Giappone - In base ai dati del governo, nel 1960 il consumo annuale di carne di balena nel Sol Levante era pari a 200mila tonnellate, precipitando a circa 5mila in anni recenti. Il Giappone aveva aderito alla Iwc nel 1951, tre anni dopo la sua istituzione, con lo scopo di regolare lo sviluppo sostenibile della specie, ma ha deciso di lasciare l'organizzazione nel dicembre 2018 dopo il rifiuto dei Paesi aderenti a ripristinare la caccia ai cetacei per fini commerciali. Tokyo ha specificato che le proprie navi concentreranno le attività intorno alla cosiddetta zona economica esclusiva, e non più nell'Oceano Antartico.