Tgcom al festival sull'isola che fonde diverse culture: quella africana, l'europea, e qualche traccia dell'indiana
Creoli si nasce. E si diventa, volendo. Detta così sembra una contraddizione logica, ma basta poco per capire che l'essere creolo a Mauritius è più un qualcosa legato al proprio modo di essere che al fatto di appartenere a un'etnia in senso stretto. Un modo di essere "contaminato", che fonde diverse culture: quella africana, l'europea, e, inevitabilmente, essendo a Mauritius, anche qualche traccia di indiano.
Il Festival Kreol, la cui terza edizione si è tenuta nel dicembre 2008, rappresenta una "summa" di questo metissage culturale. Un festival fatto di musica, danze, poesia, di contaminazioni a 360 gradi insomma, che per una settimana ha catalizzato l'attenzione di tutta l'isola.
Una delle anime della manifestazioni è Eric Triton, 42 anni, che sarebbe riduttivo definire semplicemente un musicista, perché per i mauriziani rappresenta uno dei simboli più alti della cultura creola. Lo incontriamo in spiaggia, al Le Morne Village, poco prma che inizi una serata che lo vedrà protagonista. Una serata fatta essenzialemnte di musica e di danze, in particolare il sega, il ballo per eccellenza dei creoli mauriziani. E non potevamo che iniziare la nostra chiacchierata parlando di musica...
E' la mia religione -afferma Eric- ancora più forte se canto in lingua creola, perché proprio la lingua è parte integrante della cultura creola. E' una musica che nasce da lontano, dall'abolizione della schiavitù e dalla conquista della libertà, che è diventata, come fosse un cerchio che si chiude, espressione della musica creola.
In che senso?
Mi spiego meglio: se vogliamo trovare un aspetto positivo alla colonizzazione è che ogni schiavo ha mantenuto la sua cultura d'origine, e quando è stata ottenuta la libertà questa si è mescolata con quella dei suoi colonizzatori, portando, a posteriori, arricchimento e unità. I vecchi padroni e i vecchi schiavi si sono, come dire, uniti, in una dimensione come quella musicale.
Detto così c'è la tentazione di pensare che la colonizzazione potrebbe essere considerata una fortuna...
Considerarla una fortuna è un po' troppo, ma la colonizzazione, a posteriori, ha certamente portato ricchezza culturale. Ci ha fatto bene "imparare" l'inglese e il francese, indubbiamente. Smaltita la rabbia per essere stati colonizzati è subentrato il messaggio più alto del cristianesimo, ossia quello che siamo tutti uguali, tutti fratelli. La rabbia è stata, come dire, canalizzata in positivo, l'evangelizzazione ha smussato gli angoli e ha dato modo di esprimersi in maniera libera.
E tu quando hai capito che la musica era il tuo modo di esprimerti?
E' stato tutto molto istintivo. Non ho mai imparato a suonare o a cantare, ma a dieci anni ero già sulle scene e capivo che quella era la migliore maniera con la quale potessi esprimermi. Questa bellissima sensazione mi ha fatto fare il "salto", mi ha dato la spinta per diventare quello che sono.
Un salto che è riuscito a fare anche Mauritius?
Sì e no. L'isola è un ambiente difficile, che però alla fine ti si cuce addosso. L'apertura, chiamiamola così, ha portato impiego e lavoro nel turismo, ma dobbiamo stare attenti a non farci espropriare delle nostre spiagge. Ma non mancano problemi più "interni". L'alcolismo e il commercio che ad esso è legato è una delle piaghe di Mauritius. E in generale tutto quello che è a che fare con i soldi fa perdere il senso della vita e della realtà. A volte penso che davvero senza i soldi il mondo potrebbe essere migliore.
E ciò si verificherà mai, secondo te?
Ho un sogno, che l'arte vincerà. Mi piace crederci. E penso anche a uno dei personaggi della musica a cui mi ispiro, Louis Armstrong. Lui con un sorriso largo ha aperto una strada.