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Malcangio (Daniel Wellington): "Le crisi sono il laboratorio di nuove soluzioni"

Francesco Malcangio, Retail & Wholesale manager di DW, racconta come è cresciuto nell'azienda svedese di orologi minimal così amati  da influencers e celebrities

Orologi e accessori minimalisti e raffinati, dal design classico e con cinturini intercambiabili. È questa l'anima di Daniel Wellington, brand nato online da un'idea dello svedese Filip Tysander e arrivato anche nei negozi fisici (più di 500 in tutto il mondo), amato da influencers e celebrities. A raccontare a TgcomLab come vuole crescere DW in Italia è Francesco Malcangio, Retail & Wholesale manager dell'azienda.

Come è arrivato a ricoprire l'incarico attuale? 
Il mio incarico iniziale in Daniel Wellington (DW) nel 2018 è stato quello di aprire, rendere operativi e performanti i primi negozi diretti italiani di questo famosissimo brand svedese di orologi e accessori “affordable luxury”, che da diversi anni spopola tra giovani utenti dei socials. Matricola n.2 dopo il General Manager, ho quindi curato l’avvio della filiale, a Milano, con la creazione del network di fornitori e dei processi aziendali lato Italia, oltre alla selezione e formazione del team di vendita; per poi passare anche al supporto delle catene di negozi multimarca di accessori e gioielli, nostri rivenditori.

 

Inizio la mia “carriera” nel retail come promoter-commesso di prodotti hi-tech quando ero studente universitario di giurisprudenza, negli anni ‘90; vari prodotti ma un unico focus: il cliente e e le sue idee da capire. Era per me facile e divertente entrare in confidenza-empatia, e quindi trovare la soluzione, il prodotto, che rendesse contento lui, e anche me come venditore! Una estate come animatore turistico è stata un “master” per il mio modo spontaneo e scanzonato di relazionarmi con le persone.

 

Il mio primo lavoro “serio” è stato quello di impiegato di una importante banca del Nord-Est. Non credo esista un “prodotto” più delicato e critico del denaro/risparmio: va maneggiato con molta cura! Lì ho realizzato che la fiducia è il principale pilastro del rapporto tra consulente e cliente in uno dei settori in cui la fidelizzazione dura letteralmente per decenni. Credo che il mio atteggiamento aperto e collaborativo sia il motivo principale per cui  venni scelto per diventare il coordinatore e coach del team di consulenti della filiale principale, e poi formatore aziendale. Con il dispiegarsi degli effetti della crisi finanziaria post 2008-2010, e l’aumento delle mansioni burocratiche anziché commerciali, ho deciso di cambiare settore e di indirizzarmi al retail puro.

 

Approdo quindi nel gruppo Percassi per l’avvio del progetto retail del lancio in franchising di un brand americano di prodotti per il corpo e profumi, come District-Area Manager. Un settore diverso, certo, ma in cui ho potuto applicare e condividere in modo più rotondo le mie competenze analitiche e le “human skills”, affinate anche dai precedenti anni di studio dello Shiatsu e delle arti marziali taoiste (sono istruttore di Tai Chi Chuan).

 

Mi sono così confrontato con nuovi colleghi, e con aspetti operativi nuovi che mi hanno appassionato e arricchito professionalmente. Le “dritte” dei formatori americani del brand, sui comportamenti di vendita e sugli indicatori di performance, su come usarli senza abusarne (“analyze/paralyze!”); sul rispetto dell’immagine e dell’dentità del brand (nelle attività di marketing italiane); l’adattamento al mercato (think global, act local!), sono diventati il faro per gestire e stimolare l’organizzazione del mio team, che ha assorbito e usa tutti i giorni questo approccio agli obiettivi: alternato, pratico e analitico.

 

Il risultato di cui sono orgoglioso è un ambiente di lavoro positivo e stimolante in cui tutti possono dare il proprio contributo attivo al progetto, in modo motivante e premiante. Il tasso di abbandono dei dipendenti è bassissimo, mentre i nostri risultati commerciali sono stati ai vertici aziendali sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, prima del marzo 2020, e dopo.

 

Qual è l'elemento di forza della sua azienda?
Daniel Wellington è una azienda svedese di proprietà del suo ideatore e designer originario, Filip Tysander, che ha dato il via alla creazione di oggetti di design eleganti e minimal, per tutti i giorni, diventando leader mondiale nel proprio segmento. Il brand è giovane e in continua evoluzione sul versante dei prodotti: una fucina di nuovi modelli, soprattutto quest’anno. Ma il fattore determinante del suo successo, riconosciuto a livello mondiale, è stata la strategia di marketing basata sugli influencers, sapientemente scelti e gestiti da un dipartimento specializzato. Quest’anno la principale “face” dei nostri lanci prodotto più importanti è la bella e simpatica Cecilia Rodriguez, che ho avuto il piacere di incontrare in alcuni eventi promozionali.


Quale consiglio dà a chi vuole intraprendere una carriera nel suo settore?
Il retail è un settore molto dinamico e competitivo di per sé, soprattutto oggi che le vendite online hanno avuto una estrema accelerazione, inimmaginabile solo due anni fa; il marketing sui social sembra adesso la soluzione di tutti i problemi, ma il vero “lusso”, quello che tutti vorrebbero, è ancora offline perché attiene ai cinque sensi: attiene alla customer experience in tutte le sue declinazioni fisiche. Il mio consiglio quindi è quello di investire su se stessi, sul proprio arricchimento culturale, per puntare a un tipo di eccellenza che ti fa entrare in sintonia con l’interlocutore, cliente o collega, per far sentire la tua energia positiva, la tua curiosità, la tua passione, la tua sincerità, da concretizzare in un costante miglioramento delle competenze, sia tecniche che di problem solving originale, commisurato alle proprie mansioni. Penso che in questo modo si possa diventare una risorsa importante per i progetti aziendali, per crescere in modo robusto e appagante. Io faccio così.


Come è stato toccato il suo settore dall’emergenza covid?
Il retail/fashion off-line, soprattutto nei centri storici, ha chiaramente sofferto per le restrizioni di spostamento delle persone, sia degli italiani che dei turisti. Il piano di espansione italiano, molto ambizioso all’inizio, si è fermato ai primi cinque negozi di Torino, Venezia, Bologna, Firenze e Milano, mentre la distribuzione copre tutto il territorio nazionale con oltre mille punti vendita totali. Il calo del passeggio in generale è stato molto pesante, anche dopo le riaperture; lo smart-working e l’impossibilità di viaggiare hanno messo in stress non solo le vendite, ma anche la tenuta psicologica di chi il negozio lo vive tutti i giorni per tante ore, e lo ha visto cambiato nella sua routine quotidiana. Nel mio ruolo, ho anche voluto dare un supporto ai colleghi junior stimolandoli a trovare insieme soluzioni nuove per migliorare il servizio al cliente e la sua fidelizzazione. Abbiamo messo in campo e condiviso nuove idee e servizi, che li hanno tenuto il team coinvolto e motivato, oltre le mie aspettative. E così siamo diventati fattorini, consulenti di armocromia, venditori in streaming, creatori di storytelling personalizzati, orologiai riparatori, e venditori a rate. Il successo arriva da una strategia integrata a cui tutti partecipano attivamente, non da singole soluzioni calate dall’alto. Le crisi sono anche il laboratorio di nuove soluzioni più efficienti, che rafforzano chi è più determinato e creativo.


Come si tiene aggiornato?

Mi è rimasto il vizio di leggere "Il Sole 24 ore", anche versione online o alla radio. Seguo sui social alcuni giornalisti per sentire che aria tira nelle alte sfere. Ma nel retail, che è il mio pane, oggi si può stare al passo solo se si seguono i social dei brand e gli influencers, quelli grandi e quelli piccoli (a volte geniali), con occhio critico da addetti ai lavori, per capire le tendenze, vedere cosa fa la concorrenza, prendere spunti. Uno dei miei preferiti è @Emillife.


Ci parli di lei: come trascorre il suo tempo libero?
Ho 46 anni, vivo a Milano, ho origine pugliese e sono cresciuto a Treviso: background variegato che mi permette di capire molti dialetti! E mentalità… Nel tempo libero, oltre a qualche serie TV scacciapensieri, pratico il Tai Chi Chuan: è una arte marziale morbida ma impegnativa, che stimola il corpo da un punto di vista sia muscolare che energetico. Qualche volta trovo il tempo di rispolverare la mia moto gialla e di fare un liberatorio giro domenicale in collina.


Cosa la rende più orgoglioso?
DW non aveva negozi diretti in Italia prima del mio arrivo nel progetto: li abbiamo fatti nascere con le nostre mani, sia come spazi che come metodo di lavoro nuovo. La mia maggiore soddisfazione è quella di averli visti gareggiare nei risultati commerciali con le location più blasonate del mondo (oggi oltre 500 stores in 21 Paesi): stabilmente nei primi 50, e in alcuni momenti essere in cima alla classifica aziendale globale (punto vendita di Torino Firenze e Milano): soprattutto nel periodo di Natale è difficile batterci! In generale il nostro “segreto” è la grande flessibilità organizzativa, di cui tutti sono consapevoli e ammirevolmente partecipi. I buoni risultati e un clima di lavoro positivo sono la nostra meritata soddisfazione, in tutte le sfide che entrano dalla porta.

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