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Anna Mareschi Danieli: "L'azienda è un essere vivente e come tale va rispettata"

Il Gruppo Danieli è tra i primi tre costruttori mondiali di impianti e macchine per l’industria dei metalli; con la leadership in acciaierie e impianti per la produzione dei prodotti lunghi, è il secondo costruttore di impianti per la produzione di prodotti piani.

Con sede a Buttrio, l’azienda conta quasi 10mila dipendenti e un portafogli ordini superiore a 6 miliardi, contribuisce per quasi il 40% all’export annuo della provincia di Udine e per il 20% di quello regionale. La vice presidente ABS Anna Mareschi Danieli racconta a Tgcom24 quali sono i valori e i progetti del gruppo.



La sua famiglia vanta 109 anni di storia imprenditoriale che ha attraversato quattro generazioni...
Sì, la nostra storia parte da molto lontano ed è stata costellata di pesanti cadute e grandi risalite. Quando i giovani mi dicono, con un po’ troppo vittimismo, che “oggi non è affatto facile fare impresa” io rispondo con la storia dell’azienda e degli uomini e le donne che si sono susseguite ai suoi vertici. Mio nonno e suo padre non si persero mai d’animo, entrambi ingegneri nell'Ottocento e agli inizi del Novecento, nonostante una serie di fallimenti a cominciare dal primo, dovuto alla ricostruzione alla fine della Prima Guerra Mondiale, poi la crisi del '29, poi la seconda ricostruzione post bellica che lo portò a emigrare in Argentina portandosi dietro quella che al tempo era la sua famiglia, Teresa, sua moglie e Cecilia (la prima di quelle che poi saranno le sue quattro figlie e che poi è stata mia madre). Negli anni Cinquanta quindi si ritrovò a cominciare nuovamente da zero inventandosi un’impresa di carri ponte che raccoglievano i rottami delle navi dal Rio Paranà per poi rivenderli al mercato. Ma la crisi del pesos lo costrinse per l’ennesima a volta a chiudere bottega e rientrare in Italia. Poi la crisi petrolifera del ’70-’80. La crisi del 2008, la guerra fredda Stati Uniti/Cina, il Covid19 da ultimo.

Quando è arrivata in azienda e come mai ha deciso di intraprendere questo percorso?
Io sono entrata in azienda nel 2007. Prima di ciò ero assunta a tempo indeterminato in UMCC a Roma. E ancora prima ho lavorato in Mps a Parigi. La carriera finanziaria è stata di conseguenza scontata all’inizio. La decisione di entrare in azienda non propriamente tale, sono stata allevata con questo obiettivo e in realtà non ho mai avuto la possibilità di scegliere. Ma non lo dico con vittimismo, non mi si addice affatto, semplicemente mia mamma sosteneva che chi ha delle opportunità ha il dovere morale di sfruttarle al meglio anche per tutti coloro che queste opportunità non le vedono neanche da lontano. Quindi per me l’azienda è sempre stato il target da perseguire, senza alternative.

Quali sono i vostri punti di forza?
Consideriamo l’azienda un essere vivente e come tale pensiamo che vada rispettata e sostentata continuamente. Il punto di forza sono le nostre persone e le loro skills sia tecniche sia soft. Il motto che mi è sempre stato ripetuto come un mantra è: “Meglio essere un buon azionista che un cattivo manager". Sembra scontato ma quando si parla di una grande impresa di proprietà familiare, per di più quotata in Borsa, questo è un rischio molto reale. Inoltre chi ci segue in Borsa sa bene che il nostro titolo è da cassettista, ovvero non adatto alle speculazioni dato che gli utili sono per lo più reinvestiti in azienda e non distribuiti. Questo ci ha permesso di avere la disponibilità di investire circa 200 milioni di euro all’anno in ricerca di base e ricerca applicata. Questo tipo di investimenti danno frutti nel lungo periodo, si pensi che una tecnologia molto spinta dal punto di vista innovativo, ci mette dai 6 agli 8 anni circa per essere accettata dal mercato, ma poi i risultati arrivano.

Qual è il vostro approccio al tema dell’innovazione?
Abbiamo due anime, una Plant making (da sempre) e una Steel making (a partire dagli anni Ottanta). Queste due realtà oltre a essere molto diverse fra loro, ci mettono anche nelle condizioni di essere in un certo senso concorrenti dei nostri clienti. Per far sì che questo modello funzioni, siamo costretti a essere sempre da un lato innovatori e ottimizzatori, e dall’altro sempre un passo avanti rispetto al mercato per non perdere il vantaggio competitivo acquisito.

Guardando il mercato internazionale, cosa vi contraddistingue dal resto del mondo?
Le tecnologie più qualificanti che proponiamo al mercato si caratterizzano per garantire la migliore qualità del prodotto a un costo competitivo di produzione, questo anche garantendo tangibilmente il miglioramento della sostenibilità ambientale dell’industria siderurgica. Tra queste tecnologie cito il primo forno fusorio per rottame ‘digitale’, che abbiamo chiamato Q-ONE. Per la prima volta si può controllare l’energia dell’arco elettrico, alla base del funzionamento dei forni fusori, con la possibilità di variare in modo indipendente tutti i parametri elettrici. Il risultato è la drastica riduzione dei consumi di energia, utilizzando anche un controllo di processo totalmente innovativo. Altro esempio sono gli impianti di co-laminazione, che consentono di laminare il prodotto direttamente all’uscita della colata continua. Questo è possibile grazie all’evoluzione del processo di colata, che ci vede leader indiscussi del mercato. Si consideri che l’eliminazione dei passaggi intermedi porta a un risparmio sui costi trasformazione del 20-25%, ma non solo: anche l’abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni di gas serra in atmosfera. Da un punto di vista soft, quindi da italiani, ci contraddistinguono il problem solving e la flessibilità. Lei provi a chiedere a un tedesco (per fare un facile esempio) di cambiare o soprassedere rispetto a una clausola contrattuale nell’ottica di un risultato più conveniente per tutti…
Comunque, lasciando perdere un po’ di questa secondo me sana ilarità, l’Italia è la seconda manifattura d’Europa e la settima nel mondo nonostante tutti deficit competitivi che le sue imprese si portano dietro: primo fra tutti il cuneo fiscale, ma non di meno le infrastrutture obsolete, l’incertezza del diritto, la denatalità, il sistema formativo da troppo tempo statico, la fragilità del sistema politico, e potrei andare avanti. Immaginiamo per assurdo (ahimè) di poter competere alla pari con francesi e tedeschi, beh se oggi siamo i secondi ritengo che non potremmo che fare di meglio!

Quali progetti futuri può anticipare?
Più che parlare di futuro, vorrei sottolineare che già oggi siamo in grado contribuire al processo di decarbonizzazione con i nostri impianti di produzione di ferro metallico (DRI) da minerale, utilizzabile per alimentare i forni elettrici ad arco a integrazione o sostituzione del rottame, materia prima che nel breve/medio futuro diventerà sempre più scarsa. Questo processo è la concreta alternativa agli altoforni. Utilizzare il gas naturale invece del carbone consente nell’immediato di dimezzare le emissioni di CO2 e siamo pronti per l’impiego di idrogeno, quando sarà disponibile in grandi quantità e a costi accettabili.

Osservando le nostre aziende e le difficoltà che riscontrano, cosa manca dal suo punto di vista in Italia?
Innanzitutto, mancano le persone. Il trend demografico italiano ci dice che non cresciamo da quarant'anni e questo ha creato oggi un problema strutturale di disponibilità di risorse umane data anche la politica di immigrazione del nostro Paese. A fianco di ciò, in Italia nello specifico si pone il tema del disallineamento fra domanda e offerta di lavoro (troppi laureati in discipline umanistiche e pochi laureati in discipline Stem).

Lei da sempre lotta per ottener un cambiamento culturale in ambito professionale soprattutto per i diritti delle donne e, al riguardo, ha presentato anche un disegno di legge. Può parlarcene?
Sì e non smetterò mai di farlo perché ogni piccolo passo che riuscirò a fare in questa direzione, sarà un passetto in meno che dovrà fare mia figlia e tutte le figlie del nostro Paese. Tutto questo parte in primis da un problema culturale: le ragazze vengono cresciute tendendo alla perfezione e i ragazzi tendendo al coraggio. C’è uno studio di un’università americana sui laureati che rispondono alle offerte di lavoro: una donna si candida alla posizione solo se è convinta che le sue competenze rispecchino almeno l’80%-90% dei requisiti richiesti, mentre per un uomo questa percentuale si abbassa al di sotto del 50%. Credo che questo esempio sia self explanatory, si tratta di un vero e proprio problema di opportunità. Detto questo si pone anche il tema delle donne, ancor di più se possibili future madri o già madri. Se un’azienda viene messa di fronte a una assunzione di due candidati di sesso opposto a parità di competenze, la stessa non può che valutare come il lavoro di un uomo abbia un rendimento maggiore rispetto a quello di una donna e questo è dovuto al fatto che, faccio degli esempi non esaustivi, i permessi 104 vengono presi all’80% dalle donne perché su di loro ricade la responsabilità familiare (che si tratti di figli o dei nostri cari vecchietti), i permessi non retribuiti anche, le trasferte non possono essere decise all’ultimo momento come anche l’eventualità di lavoro straordinario. Un’impresa che deve competere con il mercato globale deve fare i suoi calcoli affinché il prezzo all-in finale dei propri prodotti o servizi sia competitivo e non può quindi prescindere dal valutare il rendimento delle persone. Questo costo in più raramente viene affrontato dall’impresa stessa, più che altro quando parliamo di imprese di nuova generazione dove il punto di vista femminile è fondamentale per ottenere dei modelli non discriminatori, ma nelle imprese “normali” non possiamo aspettarci che questo costo sia sempre e solo di competenza privata. Qui si parla di diritti costituzionali di base, riterrei quindi più che opportuno che sia il Governo a occuparsene. Per tutti questi temi ho draftato un DDL per la defiscalizzazione del lavoro delle madri (da 0 a 14 anni del figlio o dei figli).

Quale consiglio vuole dare a un giovane che oggi voglia intraprendere un percorso imprenditoriale?
Oggi se vuoi puoi. È fondamentale dotarsi di una forte disciplina, olio di gomito (come si dice dalle nostre parti) ed efficacia (la cosiddetta consistency che ritengo difficilmente traducibile in italiano) quindi è prioritario valutare il mercato e dove sta andando, oltre all’attitudine personale, quando ci si trova a scegliere il percorso formativo. Così facendo, sarà quantomeno probabile avere successo. Aggiungo anche che, come disse qualcuno ben più importante di me, il fallimento è la strada più corta per avere successo, quindi riallacciandomi a quanto ho detto sopra riguardo alle opportunità dei nostri giovani, come genitori dobbiamo educare all’importanza all’insuccesso guardandolo in ottica costruttiva e non distruttiva. 

Cosa pensa del mondo start up? Sappiamo che su tale tema il nostro Paese non è ben posizionato a livello globale.
Corretto. Diciamo che l’idea spesso c’è ed è molto interessante, ma mancano le competenze di business management per farla decollare. Questo ha creato una distorsione che vede l’Italia godere di una innovazione up-down e non bottom-up, ovvero sono le imprese che da sole fanno ricerca e innovano e passano queste innovazioni alle giovani leve. Un mondo che funziona correttamente dovrebbe avere un sistema formativo evoluto in coordinamento con le imprese che esplicitano le loro necessità, trovano idee diverse, nuove che poi possono essere applicate ai processi produttivi.
Ho trovato dietro l’angolo della mia città una start up estremamente innovativa che va a colmare un vuoto di mercato. Si chiama Show Group ed è la prima piattaforma dedicata al mondo dello spettacolo, dell’intrattenimento e degli eventi. Il mercato dell’intrattenimento in cui si inserisce l’azienda è in forte crescita. Per i prossimi 10 anni è previsto, infatti, un raddoppio del mercato mondiale e l’Italia a oggi è il primo paese d’Europa nel settore (fonti IBISWorld e Statista).

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