televisione

In memoria di due gentiluomini

06 Apr 2010 - 14:08

Se ne sono andati, in punta di piedi, due gentiluomini.
Il primo era Santi Licheri, giudice vero, presidente aggiunto di Cassazione, che aveva reso racconto la giurisprudenza in tv, nonostante l’impianto drammaturgico di Forum facesse assomigliare le riunioni di condominio a una puntata di Perry Mason. Licheri Santi detto “Santino” come lo chiamava Rita Dalla Chiesa, noi non l’abbiamo mai conosciuto ma era un gradevole esempio di tv sussurrata di cui oggi abbiamo quasi perso memoria.

Il secondo gentleman, Maurizio Mosca, lo conoscevamo bene. Dopo essere passato indenne da due ricoveri consecutivi che avrebbero stroncato un toro, pensavamo che Maurizio, con quella tendenza a difendere la propria solitudine -da chierico, o forse da ala destra- fosse eterno, in grado di cristallizzare il tempo. Eppure, oggi che se n’è andato dopo lunga malattia, ci lascia storditi. Perchè Maurizio diceva che la sua dipartita non era programmata dal pendolino; e, in effetti, lui non cambiava abitudini da settant’anni.

Ogni mattina alle 7, a qualunque cambio di stagione, di stipendio o di governo, Mosca abbandonava il giaciglio da gesuita nell’appartementino milanese di piazza Repubblica accanto alla casa di Achille Campanile. Tra divanetti sdruciti e pareti tappezzate di foto di famiglia indossava la stessa giacca in panno beige, le stesse scarpe, la stessa sciarpa salmonata che «mi conferisce quell’aria blasé..»; rotolava sulla solita moquette/ sudario, impolverata dai tempi di Italia-Germania 4-3; e batteva il solito ginocchio nel trumeau su cui giacevano palle di vetro con la neve e bamboline in ceramica: un quadretto che pareva strappato alle “Anime morte” di Gogol. Poi usciva all’aria aperta. Chiamava “Il liscione”, il suo tassista privato a umore e topografia variabile («Una volta gli dissi: destinazione Formia. Non aveva capito che era la città, non la via...»); infine, dopo aver saccheggiato sempre la stessa edicola, si dirigeva sul luogo di lavoro, che fosse la Gazzetta dello Sport, Mediaset, Antenna3: da Guida al campionato a Controcampo, da Zitti e Mosca a Senza rete, dal Processo del Lunedì all’Appello del Martedì.

Mosca era una persona perbene, di una discrezione mostruosa. Sulla piazza dal 1960 e considerato un grande professionista, e un pazzo, e «un’affaticata divinità panica, interpreta ogni volta il celebre miracolo del giornalismo: non ha un pensiero ma sa esprimerlo» (Aldo Grasso). Lanciato dalla Notte di Nino Nutrizio si avvicinò al giornalismo sportivo grazie al calcio: lo appassionava a tal punto da consumare i 400 giorni di ferie accumulati nascosto nella redazione del Gazzetta dello Sport. Giornale che amava ma che lo cacciò nell’83 per la famosissima intervista -inventata- a Zico. «Mi inviarono a Tarvisio, ritiro dell’Udinese, per intervistare Zico che non c’era. Allora raccolsi delle opinioni dei colleghi e un vecchio suo intervento e li legai. Mi pareva brutto non tornare col pezzo, l’avrebbe fatto qualsiasi cronista. Però la gente non sa che tornai per scusarmi e Zico non si fece vedere. La colpa fu di Biscardi che pompò il tutto...», ci raccontava con stizza.

Ma quella cacciata fu la sua fortuna. Lo adottò la tivù; era uno showman naturale, i suoi tempi televisivi e l’abilità di ruminare tormentoni (il pendolino, la toga da avvocato, il cappelluccio da mago, le bombe di mercato: elementi di una liturgia indimenticabile) catalizzavano gli ascolti. Chi scrive ci ha lavorato insieme, appunto, nei programmi di Telelombardia e Antenna3. Davanti alla telecamera Mosca era in grado d’accendersi, a comando, in una rissa ideologica da un nonnulla; per poi tornare il timido di sempre nella pausa pubblicitaria: « Secondo te come sono andato?». Grandissimo, stupendo paraculo.
Mosca era uno dei pochi che poteva chiamare, di notte, Silvio Berlusconi per «discutere di calcio, una volta mi chiese di fare Il gioco dei 9 e gli dissi di no. Gianni Agnelli, invece, va chiamato alle 6 di mattina...»; Silvio ricambiava l’affetto e si era fatto sentire anche durante l’ultima degenza ospedaliera. Maurizio era, indubbiamente, un casinista. Negli anni ’90 arrivò a guadagnare 200 milioni di lire, lordi, al mese, ne spese la metà per curare la madre con la quale aveva sempre vissuto, l’altra metà evaporò in querele. La tv lo amava e lo odiava. Mediaset lo epurava e riprendeva a ritmo continuo. I programmi morivano ma lui, Prometeo del calcio moderno, sopravviveva sempre. Era il suo speciale accordo coi telespettatori. Per la prima volta, oggi, Maurizio non ha rispettato gli impegni.

Ci mancheranno, sia il cronista che il giudice.

Commenti (0)

Disclaimer
Inizia la discussione
0/300 caratteri