televisione

Il Califfo contro l'8 marzo

Telebestiario di Francesco Specchia

07 Mar 2009 - 19:44

La festa della donna, l’8 marzo, è uno degli eventi più terribili che possano accadere. Come il Gay Pride, la festa del papà e della mamma, e i concorsi di bellezza Miss Over 50 e i matrimoni celtici attestano - solo per il fatto d’esistere - discriminazioni sociali completamente inventate o che da anni non hanno più ragion d’essere; se non nella mente di Franco Grillini, dei fiorai, delle nonne che invecchiano male e di qualche leghista rimasto da solo sull’argine del Po.

Sicchè, quando i tg hanno martellato la notizia che a Roma, vicino al parco della Caffarella, avrebbe santificato l’8 marzo, con un concerto, Franco Califano, invitato dal sindaco Alemanno; bè, abbiamo pensato: “Però, per una volta Alemanno è stato ironico: sdrammatizzare l’ultimo strascico di un femminismo anni 70 con lo sciupafemmnine più conclamato d’Italia è un bel paradosso”. Millesettecento donne dichiarate e mai smentite rendono il Califfo sicuramente competente sull’argomento L’ironia è il respiro di un popolo.

Ma, forse, l’ultimo sussulto d’ironia di quel che era il glorioso popolo delle donne di sinistra, aveva un po’ d’affanno. Perché appena s’e sparsa la notizia del Califfo, le rappresentati politiche di Rifondazione sono insorte: “ Come donne ci sentiamo offese dall’iniziativa”; le ex suffragette, neanche fossimo ai tempi di Susan Sontag, hanno urlato: “è una proposta culturale che tratta le donne come oggetti da collezione”; le rosse storiche hanno, addirittura, rispolverato tutto l’apparato dialettico sugli stupri, sul “territorio spettatore di una violenza sessuale dai contorni poco chiari”.

Anche l’amico Michele Serra è caduto nel trappolone del femminismo attaccato dal machismo un po’ –riconosciamolo- fascista. L’unica donna, a dire il vero, a difendere Califano è stata Maria Giovanna Maglie sul Giornale; ma, ritenendola dotata di molti più attributi di qualunque cronista maschio medio (noi compresi) non la teniamo in conto.

Ora, a noi il Califfo, non dispiace. A 70 anni, con la sua morosa “vogliosa e quarantenne”, con la sua pancia da Buddha appana uscito da un privè, con la sua faccia che pare piallata da un caterpillar e devastata dal vizio e tumefatta dal sesso; con tutto il suo carico di leggenda, insomma, potrebbe incutere diffidenza. A prima vista. Ma basta parlargli cinque minuti- riuscendo a farsi mandare affanculo- che ti si apre un mondo. Califano è un tipo straordinario nel senso etimologico del termine. Uno che è stato –magari giustamente- in galera e commentava sorridendo “ma arrivavano in soccorso le riviste e il rischio di rimanere frocio era veramente basso ; uno che non rinnega il rapporto con Craxi che l’ha salvato –magari ingiustamente- ; uno che dice “prendevo la droga per stare sveglio e scrivere meglio” e che conosceva il boss Francis Turatelo senza rimanere dalla cosa troppo coinvolto; uno che nella suo biografia ammette d’essersi fatto di tutto: commesse, modelle, attrici, perfino una suora (“preferiva l’uccello delle libertà alla colomba della pace”); uno che, causa il senso dell’onore, rifiutava le raccomandazioni socialiste per infilarsi in Rai, riservandosi un modo più romanzesco per risorgere.

Uno così, bè, merita rispetto. Magari l’eleganza è un’altra cosa. Magari non sarà il Prevert di Trastevere come dicono i fan. Ma questa sua riconosciuta, marcia, eterna dissolutezza è senz’altro ipnotica. Scomparsi D’Annunzio, Rodolfo Valentino, Gassman e Tognazzi, oggi nel ruolo di campione della virilità italica se la batte solo con Scamarcio. E, capirete, la lotta è impari…

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