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Difettando d’appeal la tv estiva...

Telebestiario di Francesco Specchia

11 Giu 2008 - 11:27

Difettando d’appeal la tv d’estate e - nello specifico - d’idee il prime time, ecco che Canale 5 puntuale come le multe a Milano per lavaggio strade e come Marzullo nella notte ricelebra la sacra liturgia di “Veline”.

Anche la  - solitamente attenta - collega Alessandra Comazzi su La Stampa è caduta nel trappolone che Antonio Ricci tende, a giugno, ad ogni  direttore convinto che d’estate il pubblico si rimbecillisca e sbrachi come le redazioni dei giornali. Ce l’immaginiamo.“Perché, dato che fai la giurata, non confezioni un bel reportage dall’interno di Veline? Dai, dai, svelaci dall’interno i retroscena di questo gustoso appuntamento dell’estate…”, le avrà intimato il direttore. E Alessandra, che è una seria professionista e come i carabinieri “usa obbedir tacendo”, ha accettato. Ha scritto del vento gelido che tirava a Riccione, di Emilio Fede che “voleva scappare a mangiare una pizza”,  della voce roca di Ezio Greggio più roca del titolare del programma Teo Mamucari assente per paternità.  Ora, mentre ci arriva sul pc la foto di Caterina Buccino, prima velina morettona scelta, con rara fermezza siamo in grado d’affermare che il concorso di Veline è, in realtà una boiata pazzesca. Non televisivamente, per carità. Nei confronti dei giornalisti che, blanditi dall’illusoria fama della tv, finiscono in una giuria inutile facendo pure la figura dei pirla. Lo diciamo per esperienza.  Chi verga queste imbarazzate righe, poi,  è stato il più pirla di tutti. Il motivo è semplice: noi, nella lontana estate 2002,  imbrancati in una delle tante giurie di cronisti sparpagliate nella penisola, la velina mora, la strepitosa sarda Giorgia Palmas oggi titolare di seno e programmi nuovi, insomma, noi l’avevamo bocciata. Sul serio.

Ricci, fiero e vendicativo, la ripescò; la ripropose, senza fiatare, ad un altro paio di giurie di colleghi ignari e dall’ormone selvaggio (che la promossero, giustamente, senza indugio); e la spinse con sonnacchiosa ferocia, sulla passerella di Striscia. Risultato: ascolti pazzeschi (share 43%), una selezione gratuita di 600 ragazzine ululanti fatta da cronisti che si smentiscono fra loro, un’immaginifica beffa mediatica legittimata dalla critica stessa. Praticamente Ricci, con noi, ha realizzato – come diceva Graciàn - l’eterno sogno del boia:  i complimenti del condannato per la qualità dell’esecuzione. Un genio.

La storiella nell’ambiente dei giornalisti è ritrita, ma la riproponiamo come Ricci riporopone il suo concorso.

Con ordine. L’11 giugno 2002 eravamo appena usciti da un servizio politico sulle amministrative veronesi dominate a sorpresa, dopo 50 anni, dal centrosinistra. Pensavamo d’aver toccato già il fondo. Finché una gentile telefonata dell’entourage di Ricci ci invita lì vicino, a Caorle, Venezia, per imbucarci nella selezione regionale della Veline: 6 puntate registrate a ritmo giapponese una dopo l’altra, in 3 ore secche, pausa pipì e cambio giacchetta compresi. Accettiamo. Un po’ per vanità personale, un po’ per sostituire alla triste turba di ex democristiani e socialisti veneti sino allora sorbiti, quella di un allegro cosciame svolazzante transnazionale. Con noi, in giuria, ci sono i colleghi Giusi Petricca, Alessandra Moglia, Renzo Trevisan e, soprattutto, Ario Gervasutti, serissimo e puntiglioso ex capo del politico del Giornale, ora illuminato inviato del Gazzettino. Per inciso, Gervasutti che il giorno prima era anche lui alle elezioni, aveva taciuto spudoratamente sulla chiamata di Ricci, fingendo d’essere impegnato in un tete-a tete col governatore veneto Galan. Sgamato dietro le quinte, in seguito, ci confesserà di aver mentito anche alla moglie. Vabbè. Alle 20.40 Teo Mamuccari ci conficca dietro le seggioline della giuria; le ragazze – un caravanserraglio di parrucchiere, commesse senza grammatica e laureande senza dignità - sfilano sculettando e i nostri ormoni veleggiano verso scenari dannunziani. Alle 11.05, tra le ennesime sette candidate more si materializza dietro una stola d’ermellino, bella come un sogno, Giorgia Palmas «seconda classificata a Miss Mondo, che ha lavorato con Celentano e a Buona Domenica». Non riusciamo a staccarle gli occhi di dosso, però se la tira all’inverosimile, cammina altezzosa un metro su tutte. Sarà una gnoccona, ma le simpatiche sono diverse. Ed è con questa incredibile giustificazione che, incrociando lo sguardo eccitato del collega Gervasutti, la bocciamo. All’unanimità. Mammuccari, sconvolto, ci apostrofa elegantemente: «Ahò, macchè siete scemi, così andate contro Striscia…». Pazienza. Ricci s’incazzerà come una bestia, ma Giorgina bella la ribocciamo; non è per lei, è una questione di principio. Eppoi dopo anni di notti in bianco e due di picche, sai la soddisfazione. Facciamo vincere, invece, una signorina di Palermo (che, dopo, scopriremo aver mentito sulla sua professione essendo attrice di televendite Mediaset, ma questa è un’altra storia…). Caorle si ferma. La Palmas è una bambolina pietrificata, il pubblico applaude il coraggio della scelta, Ricci s’incazza. Bene.

Passa un mese. E il geniale patron di Striscia, applicando alla lettera il (suo) regolamento che gli consente il ripescaggio personale di 12 bellone, presenta, a sorpresa, Giorgia Palmas alla giuria di Tivoli. Giorgia, ripetiamo, è un angelo caduto dal cielo e svolazza tranquilla sulle avversarie. La paraculata di Ricci assume dimensione metafisica quando la ripresenta a un’altra giuria di colleghi ignari (stavolta direttori, con il fantasioso Aldo Vitali di GQ in testa). Passa ancora. La finale, legittimata da intellettuali come Nico Orengo e Gigi Vesigna in giuria, completa l’opera. Palmas, con la bionda Elena Barolo, è la nuova velina. Complimenti.

Ma uno, diobono, si domanda: ma, allora, oltre a snellire le selezioni di 600 indiavolate alla banda di Ricci e a confezionargli uno show che eleva il voyeurismo a modalità espressiva, noi cronisti a che cosa siamo serviti? Siamo, in effetti, dei pirla. Ricci, mettendoci tutti contro tutti, ci ha reso la dimensione della nostra pochezza. Caro Antonio, grazie. Ma che non diventi, per favore, un’abitudine.

PS Divenne un’abitudine, cara Alessandra Comazzi

 

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