televisione

Cecchi Gori e la sua Valeria(na)

Telebestiario di Francesco Specchia

04 Giu 2008 - 17:53

La verità- diceva Oscar Wilde- è un servo maldestro che rompe le masserizie mentre fa le pulizie. Palazzo Borghese è un’austera magione cinquecentesca voluta da Papa Paolo V° a due passi dal Parlamento, nel ventre della Roma fregnacciara. Se, anni fa, vi foste avventurati in quel dedalo di palme e sentieri a raggiera, di putti e fontane sormontate da draghi e polittici; se, insomma, foste passati dalla dimora romana di Vittorione Cecchi Gori, vi sarebbero potuti piovere addosso, ad orari regolari, portaceneri di dimensioni imbarazzanti. Li lanciava, per l’appunto, l’ex senatore, wildianamente all’affannosa ricerca della verità; le pulizie, invece spettavano ai filippini barricati, con terrore, in cucina. Mentre sul riarredo «ci metteva una buona mano la signora Valeria Marini», abilissima a smontare parquet secenteschi e stucchi del Borromini per appiccicarci oggetti in plexiglass e quadroni pop di Keith Haring, roba -a suo dire- molto più allegra.

Tutto questo per dire che se anche oggi Cecchi Gori, dopo l’arresto del 2002, (una scena fantastica: la Guardia di Finanza che arriva in piena notte, lui che cerca di nascondere Valeria Marini in baby doll e un chilo di zafferano dietro una specchiera girevole) si ritrova ammanettato per bancarotta fraudolenta; bè, un minimo di disattenzione da parte sua ci sarà. L’altro giorno i tg non parlavano d’altro, ma trattasi di un deja vu. Cecchi Gori, 66 anni, una laurea (lo urlava a tutti “io sono laureatoooo” quando gli rinfacciavano la strana sintassi), un’ex moglie, due figli, 2000 film in magazzino e un paio di contenziosi giudiziari conclusi prima con tre anni di galera e poi con l’indulto, è stato, probabilmente il più grande produttore cinematografico italiano.

A Firenze, un tempo, lo chiamavano, amichevolmente, “Il pazzo”, e non solo perché dopo 55 anni portò in B la Fiorentina. Due volte, porca miseria. L’epiteto da mattoide glielo appiccicarono in virtù d’una vaporosa follia creativa che lo rendeva ciclotimico come un personaggio shakespeariano. Ce lo ricordiamo ancora, Vittorione, in un ‘intervista concessaci anni fa: abbronzatura feroce che faceva pendant con la tutina bleu, aveva appena smaltito la solita incazzatura con la Marini. Parlava continuamente (senza curarsi delle domande) di Mino Martinazzoli che l’aveva convinto a scendere in politica con la Dc; dei litigi con Sandro Curzi direttore della sua Telemontecarlo, del padre Marione che lo fece vivere a casa fino a 38 anni e gli lasciò un impero da dilapidare.

Affermava di dire sempre la verità. In effetti Cecchi Gori non hai mai detto una bischerata. Semmai ne ha fatta qualcuna. L’ultima, per rimanere nel gossip, è la liaison con la morettona Mara Meis; la quale, comunque, vista la malaparata, aveva già fatto le valigie mollando solo col suo dolore e, soprattutto, con i finanzieri alla porta. Qui però, non vorremmo parlar di Vittorione, ma dell’ex morosa Valeriona (o Valeriana, dipende da quanto tempo la si frequenta) Marini. Nonostante ce la spaccino da anni come un incrocio fra Wanda Osiris e Josephine Baker in salsa oristana, abbiamo sempre avuto la sensazione di trovarci davanti a un carnoso bluff dalle caviglie forti e dal talento debole. Non ci sono mai piaciute della Marini né le performances; né le bizze da diva (superata la quarantina sono come minigonne: se le possono permettere in pochi); né “il letto rotondo, coperto da pelle di guanaco (il guanaco? ndr ) e una gigantesca vasca idromassaggio con rubinetti dorati” nel quale si faceva fotografare, né le alte frequentazioni che aiutano, lavorativamente, ad arrivare là dove nessun comune travet dello spettacolo è mai giunto prima.

Si pensi che per noi l’ideale di donna televisiva è Enza Sampò, e si capirà perché non afferriamo, di Valeriana, la poesia dell’insieme. Epperò, stavolta, nell’ennesima disgrazia all’ex fidanzato, abbandonato ormai perfino dalla stampa, la Marini merita rispetto. E’ stata l’unica, nel penoso rosario dei ricordi, a dire subito: “Sono solidale con Vittorio, come sempre se ha bisogno di me, per qualunque cosa ci sarò, non gli ho chiesto mai nulla (ed è vero, se pensate che Ricucci alla Falchi ha regalato una casa cinematografica, ndr)…”. Ecco, è in questa pietas latina, in questo scatto di sincera solidarietà che s’intravvede il volto nascosto –troppo spesso dai pizzi e dal cerone- della Marini. Ed è questo che ci porta a pensare che a volte l’umanità è una fiamma che arde in fondo al pozzo della vanità umana, ecc ecc…

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