televisione

La bella morte di Gad Lerner

Telebestiario di Francesco Specchia

16 Mar 2006 - 18:07

“Io non ho paura di morire. Solo che non voglio esserci quando accadrà”, la frasetta la balbettava Woody Allen e dà –filtrata dall’ ironia- l’esatta misura della puntata dell’” Infedele” dell’altra sera. Di solito questo spazio è un ameno luogo di poderose sciocchezze. Ma per una volta –rispolverando un inconsueto rigore morale- dobbiamo scappellarci davanti a Gad Lerner, che è riuscito a trattare, socraticamente, un tema oscuro (la morte, appunto con un titolo cronistico : “Dal nostro inviato nell’aldilà Tiziano Terzani”) illuminandolo con la torcia dell’intelligenza.

Non che Gad non sia intelligente, anzi. Talora (lo fa pure Giuliano Ferrara) esagera nel ricordatelo come un Eco, un Bernard Levy, un Arbasino qualsiasi. Ma, mentre il resto del mondo inondava i palinsesti con i tediosissimi strascichi dello scontro (miodio) Prodi-Berlusca, dall’analisi della cotonatura dei capelli a quella del conto degli anacoluti dei due leader, Gad faceva una scelta coraggiosa.

La morte. Che non è esattamente “La vita in diretta” o “La fattoria”, ed è, perfino, più interessante. Ci mancava che ci ragionasse, Gad, con la morte, che ci s’incazzasse con la vecchia signora, come Woody Allen in “Amore e guerra” o il giocatore di scacchi di Bergman nel “Settimo sigillo” o gli impiccati della “Ballata” di Villon. Un ardore spudorato. Da questa puntata dell’Infedele trasudava, infatti, una spiritualità laica e una partecipazione emotiva che ci ha scosso la coscienza, neanche fosse una marmotta svegliata dal letargo con un elettroshock; considerando che pensavamo di averla smarrita, la coscienza, è un bel risultato.

La puntata è difficilmente descrivibile; il parterre talmente alto da squilibrare. Lo spunto era la presentazione del libro “La fine è il mio inizio” (Longanesi) , testamento spirituale del grande giornalista Tiziano Terzani, vicino in età matura alle discipline orientali e scomparso per un tumore. Terzani aveva narrato la sua succosa esistenza al figlio Folco, un capellone dall’eloquio brioso, il quale ne ha fatto un opera letteraria.

Ma il Terzani che “da vecchio aveva già conosciuto tutto, l’amore, gli uomini, le guerre e non era più affamato di vita e s’avvicinava al grande passo liberandosi del fagotto dell’identità” (diceva Folco) era solo lo spunto. A discutere, vivacemente, sul tema della morte, invece, vissuta con entusiasmo e della malattia come militanza c’erano Giulio Girello, filosofo delle scienza, il priore Enzo Bianchi, l’esperta di cure palliative Francesca Florani e lo studioso di buddismo Ugo Leonzio. Bene. Abbiamo smanettato per sbaglio su cosa ci avrebbe noiosamente propinato L’Infedele, ci siamo finiti dentro, e non ci siamo più scollati dal video.

Da laici conclamati abbiamo vissuto con passione lo scontro tra Bianchi che cristianamente diceva: “Ciascuno di noi deve imparare a contare i propri giorni e arrivare alla sapienza che Dio ha messo nel cuore dell’uomo: il senso dell’eternità” e il positivista Giorello che ribatteva citando l’epopea babilonese di Gilgamesh: “Nell’eternità c’è il nulla la morte è l’eterna prigionia” (la conferma che il positivista ha una terribile condanna rispetto all’ateo: crede, ma nel peggio).

Da cronisti frou frou, da parrucchieri dell’informazione abbiamo apprezzato Emanuele Severino che citava Spinosa con la stessa leggerezza con cui Gerry Scotti scandisce i quesiti di Passaparola. Da uomini che hanno conosciuto il travaglio e la perdita di una persona cara abbiamo partecipato all’idea della malattia attenuata dalla conoscenza (negli Ospes, inglesi simili, per certi versi, alle “case dei morenti” di Madre Teresa) spiegata con partecipazione dalla collega Paola Maugeri, che di solito gigioneggia di musica su Mtv, e qui ha sfoderato uno spessore laico straordinario.

Abbiamo addirittura ritenuto intelligenti le parole dell’ospite Jovanotti, di solito avvolte dal vacuo. E abbiamo pianto. Davvero. Lacerati dalle emozioni e dalle parole “andate a dormite e colpite da un dolore profondo che non mi riesce di spiegare”, canterebbe Pacifico.

Mai vista una roba del genere. Se ne può fare una all’anno, di trasmissioni di questo tipo, ma quell’una –vi assicuro- vi può bastare tutta la vita.