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Federica Pellegrini: "Mi ingozzavo di cibo, poi la notte vomitavo tutto"

La campionessa di nuoto nell'anticipazione dell'autobiografia "Oro" racconta il periodo della bulimia e della lotta contro il proprio corpo: "Mi vedevo un mostro"

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Una Federica Pellegrini inedita, fragile, piena di insicurezza: è una delle tante personalità che la "divina" ha voluto raccontare nella sua autobiografia "Oro".

"Non provavo alcuna indulgenza nei miei confronti - si legge - . Ero rigida, non vedevo via d'uscita. Da qualche mese, poco dopo essermi trasferita a Milano, avevo cominciato a ingozzarmi di cibo. Ero capace di far fuori chili di gelato seguiti da svariate tazze di cereali una dietro l'altra. Una volta mia mamma era venuta a trovarmi e se n'era accorta". Siamo nel 2005, ai Mondiali di Montréal. Per quella gara la Pellegrini aveva investito tutto, voleva l'oro, ma il suo corpo non rispondeva bene. Arrivò l'argento e per la campionessa fu una sconfitta.

La disperazione per l'argento  -  "Avevo investito tutto su quei Mondiali - si legge nella bio -  dopo un anno schifoso. Volevo l'oro. Solo l'oro mi avrebbe ripagato della fatica, del dolore, dell'angoscia e della solitudine. Sarebbe stato il mio risarcimento. Purtroppo però ho un ritardo nelle mestruazioni pur prendendo la pillola, ero un casino in quel periodo, e il mio corpo non risponde, è fiacco, non esplode. Faccio 1'58"73: argento. Vince la francese Solenne Figuès con 1'58"60. Placcata per un'intervista in televisione scoppio in un pianto a dirotto. Tanto ero stata felice per l'argento olimpico di Atene, quanto questo argento mondiale mi brucia. Al giornalista dico: "Questa medaglia è da buttare. Non ho ancora capito perché la finale mi sia venuta così male. Non trovo risposte a un crono così deludente". Mia mamma, che mi guarda alla televisione, si spaventa.

 

La pressione del giudizio degli altri - "Tutti mi attaccano perché ho pianto per un argento mondiale invece di essere felice. Nessuno capisce. Ma come avrebbero potuto se neppure io capivo? Mi dibattevo come un pesce preso all'amo, avrei voluto soltanto scomparire. Invece ero lì, davanti agli occhi di tutti, incapace di gestire lo stress. Avevo diciassette anni, che è già abbastanza un casino di per sé anche se non devi nuotare in una gara mondiale. Non provavo alcuna indulgenza nei miei confronti. Ero rigida, non vedevo via d'uscita. Nelle foto ho gli occhi completamente spenti. E sono gonfia, brufolosa, i capelli lunghi che non ho più avuto e neanche mi piacevano". 

 

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La bulimia  - "Da qualche mese, poco dopo essermi trasferita a Milano, avevo cominciato a ingozzarmi di cibo. Ero capace di far fuori chili di gelato seguiti da svariate tazze di cereali una dietro l'altra. Una volta mia mamma era venuta a trovarmi e se n'era accorta. Le avevo detto ho fame, facciamo merenda? E avevo divorato due buste di prosciutto crudo e tre pacchetti di cracker. Lei mi aveva guardato perplessa. La sera, dopo aver mangiato tutto quello che potevo durante il giorno, vomitavo. Lo facevo sistematicamente, ogni sera prima di andare a dormire, quando il ricordo di tutto il cibo ingurgitato aumentava il senso di colpa. Vomitare era un po' come ripulirsi la coscienza e anche la mia maniera di metabolizzare il dolore. Si chiama bulimia ma io non lo sapevo. La bulimia per me non era il problema, era la soluzione. Il mio modo di dimagrire senza sacrifici mangiando tutto quello che volevo. Certo, una parte di me intuiva che era un segnale, che stavo cercando di toccare il fondo perché mi fosse evidente che avevo preso una direzione sbagliata. Ma più mi vedevo grassa e più mangiavo. Tanto ormai ero lontanissima da come avrei voluto essere. L'unica cosa che potevo fare era andare avanti così. Alla fine qualcuno se ne sarebbe accorto e mi avrebbe fermato, pensava una parte di me. E nel frattempo continuavo a mangiare".

 

La dismorfia e il rapporto con il suo corpo - Dismorfia è la malattia per cui non riesci a vederti come sei davvero. Lo specchio riflette l'immagine prodotta dal tuo inconscio, dalle tue ossessioni. Quella che vedi non sei tu, ma la proiezione della tua paura, della tua insicurezza. "Fin da piccola avevo queste spalle larghe, robuste, che mi imbarazzavano se esposte in abiti eleganti. Cercavo di evitare canottiere, top e qualsiasi cosa le mettesse in evidenza. Crescendo ci ho fatto pace. Ho imparato a vestirmi in maniera da far diventare le mie spalle un pregio e non un difetto. Ma non erano le spalle: in quegli anni io mi vedevo un mostro". 

 

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