Robert Redford, l'affascinante ribelle del cinema
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L'attore e regista premio Oscar è morto nel sonno a 89 anni, è stato un pioniere che ha saputo unire glamour e impegno civile
Il mondo del cinema piange Robert Redford. L'attore e regista premio Oscar è morto nel sonno a 89 anni, nella sua casa nello Utah. Grande protagonista tra gli anni 60 e 90, oltre a essere un sex symbol è stato un punto di riferimento per il cinema di impegno civile. Ha inoltre promosso il movimento del cinema indipendente creando il Sundance Festival. Tra i suoi film più importanti si ricordano "A piedi nudi nel parco", "Butch Cassidy", "La stangata", "I tre giorni del Condor", "Il grande Gatsby", "Tutti gli uomini del presidente" e "La mia Africa".
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Con la morte di Robert Redford non se ne va solo uno dei volti più amati dal pubblico, ma anche un pioniere che ha saputo unire glamour e impegno civile, fascino da star e attenzione alle storie più intime e difficili. Redford non era solo attore, non era solo regista, non era solo attivista: era un sognatore ostinato, convinto che il cinema potesse cambiare le persone e il mondo. L'America del grande schermo perde uno dei suoi ultimi eroi romantici, e il pubblico internazionale un compagno di emozioni che ha attraversato generazioni.
Nato il 18 agosto 1936 a Santa Monica (California) da Marta W. Hart casalinga e Charles Robert lattaio di origine irlandese, Redford vide morire la madre a soli 41 anni: abbandonò così gli studi nel 1956 e partì per l'Italia e la Francia, per misurarsi con la vita d'artista. Nel 1958, dopo alcuni ruoli in serie tv ("Gli intoccabili", "Perry Mason", "Alfred Hitchcock presenta" e "Ai confini della realtà"), arrivò l'esordio sul grande schermo con "Caccia di Guerra" nel cui cast c'era anche Sydney Pollack che poi, da regista, ne avrebbe il suo attore feticcio (lo avrebbe diretto anche in "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo", "I tre giorni del Condor" e "La mia Africa"). È miglior attore emergente ai Golden Globe nel 1966, per il ruolo del produttore bisessuale sposato con Natalie Wood nel film "Lo Strano Mondo di Daisy Clover". Arriva poi il western "La Caccia" di Arthur Penn con Jane Fonda e Marlon Brando e, nel 1969, con Paul Newman ancora in un western di culto firmato da George Roy Hill come "Butch Cassidy".
Negli anni Settanta firmò una sequenza di film destinati a entrare nella storia: sempre George Roy Hill lo diresse ne "La stangata" ancora con Paul Newman (7 Oscar, tra cui la sua prima e unica candidatura come miglior attore protagonista), poi arrivarono "Il grande Gatsby" dal classico di Francis Scott Fitzgerald "Come eravamo" con Barbra Streisand, "I tre giorni del Condor", fino a "Tutti gli uomini del presidente", in cui vestì i panni del giornalista Bob Woodward e raccontò lo scandalo Watergate.
Tra gli anni 80 e 90 sarebbero arrivati altri grandi successi, muovendosi tra cinema impegnato e commedia: "Brubaker", "La mia Africa", "Pericolosamente insieme", "Havana", "I signori della truffa", "Qualcosa di personale" e "Proposta indecente".
Robert Redford ha intrecciato più volte la sua carriera con il mondo dello sport, portando sullo schermo storie di passione, sfida e riscatto. Nel 1969 fu protagonista de "Gli spericolati", primo film hollywoodiano dedicato al mondo dello sci alpino. Tra i ruoli più celebri c’è però quello di Roy Hobbs ne "Il migliore" (1984), film che celebra la mitologia del baseball americano attraverso la parabola di un campione segnato dal destino ma capace di rinascere. Nel 2000 diresse Will Smith e Matt Damon ne "La leggenda di Bagger Vance", che ruota attorno alla storia di un giovane talento golfista che parte per la Prima Guerra Mondiale.
Ma ridurlo a "bello di Hollywood" sarebbe un'ingiustizia. Redford aveva dentro di sé l'urgenza di raccontare altro, di spingersi oltre. Nel 1980, con "Gente comune", passò dietro la macchina da presa e vinse subito l'Oscar alla regia (un altro Oscar, alla carriera, sarebbe arrivato nel 2002). Non smise più: da "In mezzo scorre il fiume" a "Quiz Show", fino a "L'uomo che sussurrava ai cavalli", ogni suo film rifletteva la ricerca di autenticità, la tensione verso storie vere, umane, universali. Al tempo stesso, Redford costruì un tempio per il cinema indipendente: il Sundance Institute e il Sundance Film Festival, fondato con Pollack, fucina di nuovi talenti e voce di chi non trovava spazio nell'industria. Senza di lui, oggi il panorama dei giovani registi americani sarebbe diverso.
Negli ultimi anni aveva ridotto le apparizioni pubbliche, ma non aveva smesso di essere punto di riferimento per colleghi e cinefili. Nel 2013 sorprese tutti con "All Is Lost", film quasi muto in cui, solo su una barca in mezzo all'oceano, lottava per la sopravvivenza. Un'opera estrema, quasi un testamento artistico, che dimostrò ancora una volta la sua capacità di mettersi in gioco. La sua ultima apparizione sul grande schermo è stata in "Avengers Endgame" (2019), in un cameo. Ma alle scene aveva già dato addio l'anno prima, con il film "The Old Man & The Gun" di David Lowery.
La sua vita privata, segnata da amori, dolori e un impegno costante, si intrecciava con l'immagine pubblica. Dal matrimonio con Lola Van Wagenen nacquero quattro figli, ma la tragedia colpì presto: il primogenito Scott morì neonato, il figlio James nel 2020 a 58 anni. Dal 2009 era sposato con la pittrice tedesca Sibylle Szaggars, compagna discreta e fedele.