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Motta torna all'essenziale con "Semplice": "Ho capito che faccio musica per me"

Il terzo album del polistrumentista e cantautore toscano è un percorso personale e musicale

Claudia Pajewski

"Un nuovo percorso di crescita sia personale sia artistico". E' come descrive il suo nuovo album, Motta. Si intitola "Semplice" e arriva a tre anni da "Vivere o morire". Il cantautore rivela: "L'ho fatto per me questo disco", e racconta durante la presentazione di aver cercato di far pace con le proprie contraddizioni attraverso un processo di semplificazione: l'attenzione è tutta concentrata sui dettagli, sulle piccole cose, sull'importanza di ogni attimo vissuto in un mondo che ci sfugge dalle mani. 

 

 

Motta ha alle spalle due dischi e altrettante Targhe Tenco (Miglior Opera prima nel 2016 con "La fine dei Vent'anni" e miglior Disco in assoluto tre anni fa con "Vivere o Morire"). Questo album appare diretto, ricco ed elaborato, energico, con stratificazioni sonore che recuperano la dimensione live, da mesi impossibile da replicare. 

 

"Semplice" è nato nell’anno più complicato, soprattutto per un musicista che vive il palco come una seconda casa. Ma non è un disco sulla pandemia. Molte canzoni vengono da lontano, "alcune hanno tre anni, altre le ho scritte prima di Sanremo e di Dov’è l’Italia", sono comunque nate prima del lockdown ("alcune non ce l'hanno fatta a passare l'accelerazione emotiva dell'anno scorso e sono state scartate"). I dieci brani inediti vivono anche sull’apporto ritmico ed elettronico di Mauro Refosco e Bobby Wooten (musicisti di David Byrne) e del violoncello di Carmine Iuvone.

 

 

"Il tempo dilatato del lockdown mi ha permesso di chiedermi perché faccio questo mestiere. Ho avuto la possibilità, dopo aver corso senza sosta per anni, di fermarmi. E ogni tanto è necessario per metabolizzare quello che si vive". Quindi l’esperienza di questo anno passato è stata fondamentale, portando il cantautore a una nuova maturità: "Il nuovo album è nato per cercare ad arrivare al semplice, all'essenziale ma non al minimale. Questo processo si è sviluppato capendo cosa andare a levare di superfluo, e invece cercare di concentrarsi sulle cose importanti e che mi fanno stare bene".


"Il disco ha un racconto, un inizio e una fine", spiega, "un racconto come una scaletta del concerto. L'inizio parte degli archi che vogliono esprimere un senso di rinascita mentre la fine è molto nera, un mondo che sto esplorando e un eventuale prossimo disco ripartirà da lì". A chiudere l'album c'è "Quando guardiamo una rosa", unica scritta nell'era Covid e nata dalla collaborazione con Dario Brunori. E' un brano strumentale: "Volevo raccontare periodo della mia vita non particolarmente bello non solo per me ma per tutti. Forse non c'erano le parole giuste per dire cosa è accaduto e allora l'ho espresso dal punto di vista solamente strumentale".


Al titolo del disco "sono arrivato solo alla fine delle registrazioni, e mi sono accorto era quello il focus di tutte le canzoni. Mi sono letto a proposito quello che diceva Calvino sulla leggerezza in "Lezioni americane": la leggerezza non è una piuma che cade, ma l’uccellino che batte le ali per rimanere in volo".


In "Qualcosa di normale" c'è la voce di sua sorella Alice. "Ho fatto un sogno. Corro per arrivare in tempo a un appuntamento con De Gregori, cado in un burrone e nessuno mi vuole aiutare. Nel sogno riesco poi a incontrarlo: mi è sembrato un segno e nella realtà l’ho contattato. Lui ha sentito il brano e mi ha detto che avrei dovuto cantarla con una donna. E mia sorella è la voce femminile che preferisco".


Motta tornerà questa estate dal vivo. I primi due concerti che ha annunciato saranno il 21 luglio a Milano al Carroponte e il 10 settembre a Roma all’Auditorium Parco della Musica. "Ho deciso di presentare il disco in estate con la band, non una cosa facile, visto le condizioni in cui avverranno i concerti. L'album ha un suono rock elegante e te lo puoi vedere e godere anche da seduto".

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