Nello storico teatro milanese, Ambra Angiolini e Ivana Monti aprono una stagione di “classici” imperdibili
di Roberto Ciarapica© Ufficio stampa
Laggiù, nella profonda Irlanda dell’ovest, dove il mondo intero sembra essersi scordato di lei, la “reginetta di Leenane” è una donna di quarant’anni, ancora vergine. La sua corona è di spine. Come unica dote, la vita le ha lasciato una vecchia madre sadica, che ha fatto di sua figlia ciò che qualcun altro, probabilmente, in un lontano passato, aveva fatto di lei. In questa famiglia bipolare, in cui nessuno può essere salvato, e in cui la follia gioca a scacchi con la morte, soltanto una resterà viva. Ma chi? E – soprattutto – come?
Al teatro Franco Parenti di Milano, fino al 2 novembre, va in scena il thriller psicologico di uno dei maestri contemporanei del genere, Martin McDonagh, brillante regista del cinema (4 Golden globe e 2 Oscar per Tre manifesti a Ebbing, del 2017) e commediografo britannico di grande successo, cominciato nel 1996 proprio grazie alla sua prima opera, “La reginetta di Leenane”, portata ora al Parenti dal regista Raphael Tobia Vogel. In scena un monumento del teatro italiano, un'attrice senza tempo, Ivana Monti (lanciata nel 1966 da Strehler verso una carriera sconfinata); al suo fianco Ambra Angiolini, alle prese con il testo forse più importante, e più difficile, del suo curriculum teatrale.
“La reginetta di Leenane” è un duetto/duello mortale tra due attrici che insieme funzionano e si incastrano perfettamente, forse proprio perché così distanti, per età e per storia personale. Le loro sono due traiettorie che si incrociano al momento giusto, regalando al pubblico uno spettacolo di grande impatto, in cui oltre alla scrittura, alla regia e ai due attori maschi del cast (i bravissimi Stefano Annoni e Edoardo Rivoira) ci sono, appunto, i loro retaggi: di donne, di madri e di attrici. Il risultato è una specie di incidente probatorio, in cui tutto viene buttato sul palcoscenico, alla ricerca di un colpevole che non esiste, perché chiunque lo è.
Il thriller procede così per (potenziali) colpi di scena, fra urla, pianti, umorismo nerissimo, scenate grottesche e una fredda, gelida malinconia, che nel desolato paesaggio irlandese (lo stesso scenario lunare dell'ultimo film di McDonagh, "Gli spiriti dell'isola", del 2022) è una specie di eco, che rimbalza dappertutto. Portando le due donne allo stremo. E, solo una delle due, alla follia.