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Duran Duran tornano in Italia: "La vera festa per noi è sul palco"

La band inglese arriva in Italia per cinque date dal 5 al 12 giugno. Tgcom24 ha incontrato Simon Le Bon

A quattro anni dal loro ultimo tour, tornano in Italia i Duran Duran.

La band sarà nel nostro Paese per cinque date dal 5 al 12 giugno nell'ambito di un lunghissimo tour mondiale, iniziato nel 2015 e destinato a chiudersi nel 2017. "Per noi salire sul palco è il vero divertimento - dice Simon Le Bon a Tgcom24 -. Lo abbiamo capito con il tempo che esibirsi è la vera gioia di questo lavoro ed è un privilegio poterlo fare ancora".

Con l'Italia il rapporto è da sempre privilegiato. L'ultima volta che si sono esibiti da noi è stata a ottobre, in piazza del Duomo a Milano per l'Mtv Music Week. Ma ora arrivano per un vero e proprio tour che tocca lo Stivale da Sud a Nord per uno show incentrato sui successi di sempre e sui brani dell'ultimo album, "Paper Gods", che li ha riportati nella top ten Usa dopo vent'anni.

Le prime date risalgono a giugno del 2015 e finirete a settembre di quest'anno. Un vero e proprio tour de force...
In realtà la tournée potrebbe concludersi veramente solo nel 2017, dopodiché inizieremo a pensare al nuovo album. Il segreto è fare delle pause per ritrovare i propri spazi. In passato ci sono state volte in cui siamo stati in giro per il mondo un anno e mezzo. Quando sei giovane lo puoi fare, ma una cosa del genere ti divora la vita. Un tour anche lungo ma diviso in varie fasi, con lunghi break, invece permette di staccare. Se riesci a combinarlo con la vita privata e la famiglia questo è un lavoro splendido.

Dopo tanti anni salire sul palco è puro mestiere o ancora un divertimento?
Se c'è una cosa che ho imparato con il passare degli anni è che mi diverto molto di più quando salgo sul palco che non in tutto il resto del tempo. E' lì che inizia la festa e sono molto felice di aver preso consapevolezza di questo. Per anni abbiamo pensato che il bello fosse stare in giro, godersi la vita da popstar, con il risultato che a volte salivamo sul palco senza la giusta tensione. Invece da un po' ho capito che questo è il fuoco di quello che facciamo, lo considero un privilegio: perché amiamo la musica e amiamo esibirci.

C'è mai stato un momento nel quale non ti divertitivi così tanto e hai pensato che fosse l'ora di smettere o cambiare?
Il periodo immediatamente prima della reunion, all'epoca di "Pop Trash" (nel 2000 - ndr), non è stato il massimo. Warren Cuccurullo, il nostro chitarrista di allora, voleva avere l'ultima parola sulla direzione dell'album e non c'era molto spazio per me nei Duran Duran. Non è stato un periodo felice. L'abbiamo superato anche perché Nick Rhodes e io siamo molto legati e abbiamo fatto in modo di rimettere in piedi la band nella formazione originale. Ora sono amico di Warren, è un bravo ragazzo. Ma io sono felice con la band come è ora.

In Italia suonerete in due luoghi storici come il teatro greco di Taormina e l'Arena di Verona. In posti come questi sono diverse le emozioni rispetto a un concerto in un palazzetto?
In realtà quello che conta non è tanto ciò che pensiamo noi ma quello che pensa il pubblico. Un concerto dei Duran Duran all'Arena di Verona è un'esperienza straordinaria per chi la vive. E' un posto bellissimo in cui andare a sentire una band suonare, avverti un'atmosfera speciale. Quello che noi possiamo fare è cercare di essere all'altezza di quel posto e dare il nostro meglio perché quella serata sia davvero unica.

Negli anni 80 la critica vi ha spesso massacrato. Adesso tutte le recensioni dei concerti sono entusiastiche. Vivi questo momento come una piccola rivincita o come motivo di orgoglio?
Hai nominato due parole, rivincita e orgoglio. Ed è curioso perché sono due cose che io considero molto pericolose e negative. Non le amo e credo siano inutili. Il punto è che noi non abbiamo mai suonato per avere delle buone critiche, i nostri critici erano i fan ed è per divertire loro che abbiamo sempre suonato. Certo, se qualcuno parla bene di noi non può che farci piacere. Ma in genere non leggo le recensioni, e se lo faccio preferisco quelle negative, per capire magari dove dobbiamo correggerci.

Per i concerti italiani pensate a qualche cambio in scaletta?
Non credo, ormai lo show ha preso un suo assetto che funziona. Potremmo preparare qualche canzone dal nuovo album, probabilmente faremo "Only In Dreams" che avevamo già suonato in Inghilterra, e forse qualche altro pezzo. Ma in generale nessuno di noi vuole superare le due ore di spettacolo.

Come mai? Ci sono vostri colleghi che mettono in piedi concerti fiume, con quasi 40 canzoni...
Sì, lo so bene. Sono stato a qualche concerto di Bruce Springsteen ed è stata una fatica. Io amo Springsteen ma oltre tre ore di concerto non sono sostenibili, arrivi alla fine esausto. Preferisco uno show di due ore con la giusta tensione. Sono convinto che in molti casi il "più" non significhi "più" ma... troppo.

Con l'album "Paper Gods" avete imboccato un percorso musicale decisamente diverso dal precedente "All You Need Is Now". Come lo giudichi a distanza di qualche mese dall'uscita?
Come artisti ci sentiamo in un processo evolutivo. Quando abbiamo iniziato eravamo molto giovani e avevamo molte cose da imparare sulla musica. La musica non è qualcosa che impari a maneggiare in cinque o dieci anni. Devi continuare a lavorare senza sosta e credo che le cose musicalmente più importanti le abbiamo imparate negli ultimi dieci anni, nell'ultimo terzo della nostra carriera. Bisogna avere abbastanza coraggio per essere aperto alle novità e per rischiare di cambiare e mettere in discussione i tuoi preconcetti. E devi cercare di mescolarli alle idee della gente che lavora con te, i tuoi produttori, quelli che ti sono vicino.

Quindi per il prossimo album pensi a un ulteriore cambio di rotta?
L'impegno è quello di spingersi sempre oltre. A volte tutto questo può spaventare. Ti guardi davanti e pensi "posso fare quella cosa?". E può capitare di sentirti molto inadeguato o vecchio per il lavoro che stai facendo. Invce spingersi in avanti è solo positivo: è eccitante e mi dà una ragione di continuare. Per questo dico che dobbiamo cambiare e essere aperti alle novità, sono un'opportunità di crescita.

In concerto suonate "Space Oddity" come omaggio a David Bowie. Il 2016 fin qui è stato un anno tragico per la musica...
Ovviamente la cosa ci ha colpito molto. Ma dobbiamo capire che è normale. David Bowie era giovane, Prince molto di più. Ma la gente muore, è nella normalità delle cose. La cosa davvero grave, che ci impoverisce, è che veramente pochi artisti oggi hanno la levatura per far sentire di meno quelle perdite, per rimpiazzarle. Gli artisti che sono devoti alla musica e non solo al successo sono sempre meno. Kanye West secondo me è uno di questi. E ci sono realtà di talento, come i Tame Impala, o grandi cantanti come Adele. Però sono casi isolati.

Si è esaurita la vena o è cambiato qualcosa nel contesto?
Fino agli anni 80 e i primi 90 c'era una ricerca del talento. Poi sono arrivati i talent show in televisione, trasmissioni come "The Voice", "X Factor", "Pop Idol" non si preoccupano di sviluppare il talento ma di costruire delle celebrità. Ma senza talento non si va lontano. Non credo che sia finita. E' solo una fase. La gente alla fine si annoia, e anche dei talent, presto o tardi si annoierà. Ormai è una routine, il giro si ripete sempre alla stessa maniera. Arriveranno altre cose che li soppianteranno. Non preoccupatevi, sono fiducioso che le cose miglioreranno.

LE DATE DEL TOUR ITALIANO
5 giugno - Teatro Greco di Taormina
7 giugno - Rock in Roma Arena, Ippodromo delle Capannelle
8 giugno - Arena di Verona
10 giugno - Arena Ippodromo del Virano, Firenze
12 giugno - Street Music Art Festival, Milano