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Cinema, addio a Gabriele Ferzetti

Era nato a Roma il 17 marzo 1925. Tra le sue interpretazioni più celebri, "La provinciale" di Mario Soldati, "Le amiche" e "Lʼavventura" di Michelangelo Antonioni, "La lunga notte del ʼ43" di Florestano Vancini

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Cinema in lutto per la morte di morto Gabriele Ferzetti, uno degli interpreti più amati anche del teatro italiano. Era nato 90 anni fa a Roma il 17 marzo 1925. Tra le sue interpretazioni più celebri, "La provinciale" di Mario Soldati, "Le amiche" e "L'avventura" di Michelangelo Antonioni, "La lunga notte del '43" di Florestano Vancini, "A ciascuno il suo" (1967) di Elio Petri.

Cinema, addio a Gabriele Ferzetti

E' stato un giovane seduttore, un quarantenne problematico e dubbioso, un affascinante signore sulla scena e sullo schermo, uno uomo appartato e schietto, un raffinato osservatore dei tempi che cambiano e un attore sottile, dedito sempre alla sottrazione e al perfezionismo.

Di buona famiglia ed educazione impeccabile, ben presto divorata dalla passione per la recitazione. Frequenta l'accademia d'arte drammatica Silvio d'Amico e brucia le tappe, approdando al mondo del cinema che ha appena 17 anni: nel 1942, attore giovane a fianco di Dorsi Duranti ne "La contessa di Castiglione" di Flavio Calzavara.

A guerra finita si costruisce con maniacale professionalità una spina dorsale da uomo di teatro e Luchino Visconti lo sceglie, nel 1948, per "Come vi piace". Il suo primo ruolo da protagonista in teatro è del 1951 con Olga Villi in "Sogno ad occhi aperti" di Rice; la prima grande affermazione sullo schermo la deve a Mario Soldati che lo mette insieme a Gina Lollobrigida ne "La provinciale" del 1953, grazie al quale gli spetterà il ruolo da prim'attore ne "Le avventure di Giacomo Casanova" diretto da Steno e purtroppo per molti anni massacrato dalla censura.

L'incontro con Antonioni - Due anni dopo, sullo schermo, un incontro folgorante con Michelangelo Antonioni che tra "Le amiche" e "L'avventura" ne fa l'emblema di una condizione maschile sospesa nell'incertezza, vero controcanto alla passione arrembante del maschio italiano ai tempi della rinascita economica.

Gabriele Ferzetti è ben diverso: bello, elegante, sobrio, affascinante, sta sempre un po' in disparte, non riempie lo schermo come Gassman o Sordi, ritaglia i suoi ruoli lavorando di cesello ed esprimendo la parte segreta dell'uomo contemporaneo. Lo capisce bene Antonio Pietrangeli in "Nata di marzo", ispira a Florestano Vancini uno dei suoi ruoli più belli in "La lunga notte del '43", gli darà gloria Elio Petri in "A ciascuno il suo".

Nel frattempo la carriera di Gabriele Ferzetti corre a ritmi impossibili con una frequentazione ossessiva dei set (alla fine saranno più di 100 i suoi film) che si alterna con frequenza alla passione per il teatro e ad avventure oltre confine come nel bellissimo "Tre camere a Manhattan" di Marcel Carnè (1965).

Non manca neppure l'appuntamento con i fermenti e gli scandali del '68, partecipando a "Grazie zia" di Salvatore Samperi, ma sarà Sergio Leone a dargli gloria assoluta disegnando con lui il memorabile affarista sofferente e cinico di "C'era una volta il West". In teatro, specie grazie alla consuetudine con Mario Missiroli, firma pagine importanti recitando con grandi colleghe come Lea Padovani o Anna Proclemer. E questa passione lo accompagnerà sempre, fino al meritatissimo premio Ubu ricevuto per "Danza di morte" nella sua piena maturità. Le sue incursioni nel cinema e nel teatro sono talmente tante e varie (ha partecipato anche a un'avventura di 007, "Al servizio segreto di Sua Maestà") che riesce difficile darne conto.

Piace ricordarlo ancora nel "Portiere di notte" di Liliana Cavani (un monumento a quella sobrietà interpretativa che resta il suo tratto ineguagliato), nel "Quartetto Basileus" di Fabio Carpi, nell'"Otello" di Oliver Parker e, di recente, in "Io sono l'amore" di Luca Guadagnino. In quell'occasione il successo internazionale del film fece scoprire a molti la classe ineguagliabile di quel gentiluomo che, come il miglior vino, migliorava invecchiando.