spettacolo

Cercando il suono della luce: Ryuichi Sakamoto e Alva Noto al Manzoni di Milano

Cronaca di una serata indimenticabile

di Domenico Catagnano
25 Ott 2005 - 14:36

Bella impresa scrivere qualcosa che non sia già stato scritto su Ryuichi Sakamoto. Bella impresa davvero, considerato che in quasi trent'anni di carriera il musicista giapponese, l'Imperatore, ha esplorato una varietà infinita di generi e ha sbizzarrito, spiazzato e ispirato chi scrive musica e chi scrive di musica. La sua esperienza è una vera e propria "mappa culturale" delle sette note, che affonda le radici nella classica e si sviluppa nel pop-rock, nella dance, nell'etnica, nell'ambient, nella bossa nova, nel jazz, nell'elettronica, addirittura nell'hip-hop.

Instancabile ricercatore, Sakamoto ha fatto della contaminazione e della sperimentazione le ragioni delle sue ricerche sul pentagramma: "Per me la musica pop giapponese suona come quella araba -ha dichiarato-, e Bali è vicina a New York".

In questo suo muoversi e scavalcare confini geografici sono nate collaborazioni importanti. Ryuichi ha lavorato, tra gli altri, con David Sylvian, Iggy Pop, David Bowie, Youssou N'dour, Peter Gabriel e David Byrne. Nel solco di questi arricchimenti si è inserito, cinque anni fa, quello con Alva Noto, al secolo Carsten Nicolai, tedesco di Karl Marx Stadt, personaggio fuori dagli schemi, che le biografie definiscono "artista plastico, scrittore e musicista, sperimentatore e profeta del minimalismo". Uno della stessa pasta dell'Imperatore, insomma. Sakamoto & Noto, una rima buffa che sembra uscita dal teatro d'avanspettacolo di altri tempi.

Di buffo, però, il loro sodalizio ha ben poco. Puntano in alto, i due, mirano "all'incessante ricerca della purezza e dell'equilibrio nell'arte e del suono", come ha scritto la critica. Se n'è accorto chi ha assistito a Insen, la serata al teatro Manzoni di Milano, primo appuntamento speciale della rassegna Aperitivo in Concerto.
Il pianoforte acustico con Sakamoto da un lato del palco, le "diavolerie" elettroniche di Noto dall'altro, e sullo sfondo, uno schermo rettangolare a fare da trait d'union tra le note e gli esperimenti sonori. Proprio dallo schermo era possibile cogliere l'essenza della performance dei due. Le figure semplici e astratte (cerchi, quadrati, reticolati, linee), cambiavano intensità e chiarezza a seconda di quanto intenso e chiaro era il suono della musica. E' come se i due avessero voluto dare una luce al suono, unire due elementi sensoriali fino a farli diventare un unicum.

E' stato quando la melodia del piano di Sakamoto ha avuto modo di esprimersi in piena libertà e si è sganciato da un minimalismo a tratti troppo limitante che il concerto ha avuto i suoi momenti migliori. In quegli attimi si sono colte quell'armonia e quella purezza alla base della ricerca dei due musicisti. Il pubblico che ha riempito il teatro all'inizio è sembrato spiazzato, ma poi è entrato via via nello spirito del "messaggio" che i due musicisti volevano lasciare, trovando la sincronia giusta ed entusiasmandosi quando Sakamoto ha appena accennato Forbidden Colors, la sua melodia più famosa.

Armonia e purezza, equilibrio e musicalità, luce e ritmo. Chissà se qualcuno, uscendo dal teatro, si è chiesto che suono abbia un raggio di sole.