NUOVO ALBUM

Dente: "In amore sono sempre di troppo"

Esce "Io tra di noi", il nuovo album del cantautore: Tgcom ne ha parlato con lui

17 Ott 2011 - 11:37
 © Ilaria Magliocchetti Lombi

© Ilaria Magliocchetti Lombi

Da tempo è il cantautore sulla bocca di tutti: Dente, nome d'arte di Giuseppe Peveri, è fuori con il nuovo, attesissimo album "Io tra di noi": dodici canzoni da sentire tutto d'un fiato e da riascoltare poi con cuore e anima spalancati. Dopo il successo de "L'amore non è bello" la magia non solo si ripete, ma concede il miracolo del piccolo capolavoro: associazioni d'idee stralunate, giochi di parola garbati e rime mai banali raccontano così il conflitto tra l'inesauribile bisogno d'amore e l'impossibilità d'amare.

Dodici pezzi tutti autobiografici, assicura Dente, con ritornelli che richiamano le varie facce del cantaurato italiano e seguono l'incedere dell'indie pop anglosassone. Per sapere tutto di "Io tra di noi" lo abbiamo raggiunto al telefono. Ecco la nostra chiacchierata con Dente.

E' fuori da pochi giorni eppure il tuo album sta già scalando la classifica di iTunes. Sembra insomma che la tua terza creatura si stia già muovendo benissimo. Che effetto ti fa?
E' una delle tante creature. Mi fa un bell'effetto, non l'avrei mai detto. Guardando alla prima non avrei mai immaginato che sarei arrivato fin qua, al terzo album, anzi al quinto se consideriamo i due EP. Ho iniziato senza speranze e senza obiettivi, registrando un disco per me e per gli amici. Poi per una serie di circostanze favorevoli, invece, quel lavoro ("Anice in bocca", n.d.r.) è uscito e ne sono seguiti altri. Non mi ero certo figurato quello che sarebbe venuto dopo.

Quello che è venuto dopo diciamo pure che è una delle pagine più piacevoli della musica italiana degli ultimi tempi...
Ti ringrazio (sorride, ndr). Negli ultimi anni le cose per fortuna stanno cambiando: c'è molta più attenzione attorno al mondo indie, molta più gente che va a sentirsi i concerti dal vivo, molte più persone sono tornate a comprare i dischi e c'è anche tanta gente che fa musica di qualità.

Parliamo del titolo dell'album: "Io tra di noi". Immagino sia un omaggio a un brano storico della musica leggera italiana ma che allo stesso tempo stia lì a suggerire nuove riflessioni sul tema "amore".
Il titolo evoca sicuramente il pezzo di Aznavour in cui c'era un terzo incomodo che arrivava a rovinare la serata di una coppia e forse non solo quella. "Io tra di noi" sta a indicare che non c'è nessun terzo, ma ci sono io, o una parte di me che si è messa in mezzo. E' abbastanza surreale, è un gioco di parole che racchiude il tema di un po' tutte le canzoni e il motivo per cui le ho scritte.

E qual è questo motivo?
Che in una storia ci sono io lì in mezzo e non c'è nessun altro.

© Ilaria Magliocchetti Lombi

© Ilaria Magliocchetti Lombi

In amore quindi ci si può sentire come un incomodo, un ingombro?
Diciamo che ci si può sentire la causa delle cose.

Cioè?
Anche alle medie mi dicevano sempre di allargare i concetti... (ride ndr) Diciamo che io posso essere la causa della rottura di una storia, della rottura di me stesso e di un'altra persona.

Da un punto di vista musicale gli arrangiamenti rendono il suono caldo e scintillante, a tratti richiamano certe sonorità della disco italiana anni 70. Hai abbandonato la dimensione essenziale voce chitarra dei primi lavori, come mai?
Finalmente potevo permettermelo, ho sempre sognato di avere un'orchestra e degli arrangiamenti per giocare meglio con le canzoni. Tanto tempo fa non potevo farlo, oggi che posso mi è piaciuto molto aggiungere gli archi, ad esempio, che trovo siano l'abito giusto per i miei brani. 

Quali aspettative hai riguardo a questo lavoro?
Aspettative non me ne faccio mai. Non ne ho mai avute e tutto è sempre andato molto bene. L'unica cosa che so è che nei prossimi mesi sarò in turné e spero che sia un periodo sereno, che tutto vada per il meglio.

Il live è la dimensione in cui ti senti più a tuo agio?
Anche in studio mi trovo molto bene. Suonare dal vivo all'inizio non mi piaceva e per molto tempo ho rifiutato persino di fare serate.

Mi sorprende molto quello che dici perché dal vivo sembri il classico animale da palcoscenico che tra un pezzo e l'altro sa intrattenere il pubblico con intermezzi parlati ironici e un po' folli...
Adesso mi viene tutto molto naturale. I primi concerti non volevo farli perché mi agitavo molto e poi ero convinto che le persone non fossero minimamente interessate a quello che dicevo. Poi, quasi costretto a fare delle date, ho visto che ci prendevo gusto e che sul palco ci stavo bene. Anche per le improvvisazioni verbali, più o meno, è andata così. Le ho utilizzate da subito, credo un po' per sdrammatizzare le canzoni che ritenevo molto pesanti perché, scrivendo dei miei sentimenti e delle mie storie andate più o meno male, qualche fesseria buttata qua e là serviva e mi serve tuttora per alleggerire l'atmosfera.

"Da Varese a quel paese", "La settimana enigmatica", "Pensiero associativo", "Giudizio universatile": già dai titoli la tua scrittura si conferma creativa, ironica. Eppure i testi sono diventati più malinconici, a tratti disperati. Succede che certi calembours o associazioni di idee spalanchino finestre sul vuoto affettivo, su un'inevitabile solitudine. E alla fine si ride amaro. Come mai?
Mi è venuto da scherzarci un po' meno, anche se i giochi di parole sono più presenti che in passato, ma forse meno immediati, non sono atti alla risata o al divertimento ma ad altre cose. Sono più enigmistici. Gli arrangiamenti di "Io tra noi", però, sono più solari che negli altri album. Ho sempre lavorato sulla musicalità pop, scanzonata, unita a testi che scanzonati non sono. Non è un esercizio che ho inventato io, certo, ma è quello che mi viene meglio.

Qualcuno scrive che ti vedrebbe bene a Sanremo...
In villeggiatura, dici? (ride, ndr). E' un discorso delicato, Sanremo è giusto che ci sia e ho sempre risposto che sì, ci sarei andato tranquillamente. Ora mi sto tirando indietro innanzitutto perché le ultime edizioni sono state terribili e poi perché non credo che per me sia il momento giusto per il palco dell'Ariston.

Come viene vissuta la tua popolarità a Fidenza, il paese dell'Emilia in cui hai vissuto per quasi trent'anni? C'è ancora qualcuno là che pensa che dovresti trovarti un lavoro?
Lo hanno pensato in tanti, qualcuno magari pensa ancora che dovrei trovarmi un'occupazione seria, qualcun altro invece ha capito che il mio è un lavoro...

Quanto è stato difficile smarcarsi dalla provincia?
E' stata una scelta coraggiosa: ho abbandonato la sicurezza del paese che ti coccola e la tranquillità di un lavoro a tempo indeterminato – facevo il magazziniere per una ditta di materiali elettrici – per trasferirmi a Milano e seguire un corso di grafica. Volevo cambiare vita. Poi è andata in un altro modo, per fortuna aggiungo, perché non mi vedrei mai adesso chiuso in un ufficio. Lo scopo che avevo quando mi sono trasferito comunque non era fare il cantante, ma stare meglio e svegliarmi felice alla mattina.

E adesso ci riesci?
Adesso mi sveglio molto felice. Certo il futuro è ad alto contenuto di "Chi lo sa?". E' un lavoro che ti mangia la vita, te la porta un po' via. E di sicurezze economiche non ce ne sono. Ma una delle cose più belle è vivere con quello che uno fa, con le cose che gli vengono dalla testa, che siano cantare, scrivere o recitare.

Ultima curiosità: che fine ha fatto Irene, il nome che ricorreva nei tuoi due album precedenti e che sembrava la tua musa?
C'è anche in questo, se cerchi bene c'è anche qui.

E' stato l'amore che ti ha fatto più male?
Quello che mi ha fatto scrivere di più.

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