Film cult da serie cult

Boris, sul grande schermo "con gli occhi del cuore"

Al cinema il film non tradisce le attese

di Domenico Catagnano
03 Apr 2011 - 17:12
 © Ansa

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Si gira sul set della fiction "Il giovane Ratzinger". Il futuro Papa, in un prato della Baviera, apprende la notizia della scoperta del vaccino antipolio. E secondo il copione deve cominciare a correre, saltellando felice, in una scena da girare al rallenti. No, è troppo, è veramente troppo anche per un regista come René Ferretti, che di "ciofeche" televisive ne ha girate, eccome se ne ha girate. Renè non ci pensa due volte e molla tutto e tutti. Prende la boccia con Boris, il suo pesce rosso portafortuna, e via dal set. Così inizia "Boris-il film".

Piccolo rewind per capire di cosa stiamo parlando. Boris nasce in televisione, è una grande serie, una delle poche prodotte in Italia in queste ultimi anni, che ha esaltato (e fatto ridere) pubblico e critica. Racconta di una scalcinata troupe che gira fiction per la tv, in una sorta di "Effetto Notte" che altro non è che il lato b del film di Truffaut, perché stupendamente caciarone, deliziosamente ruspante, in una sola parola: italico.

Dopo le serie di "Occhi del Cuore", monnezza televisiva allo stato puro, e fino ad arrivare a "Il giovane Ratzinger", Ferretti, dunque, molla il piccolo schermo e dopo una pausa di riflessione si lancia nel cinema, con un'opera forte, impegnata socialmente, "alla Gomorra". Basta scene "a cazzo di cane", basta fotografia "smarmellata", basta anche ad attrici "cagne maledette", è tempo di film d'autore, con un copione tratto da un libro di denuncia come "La Casta". Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, i tre autori-registi della serie, spostano dunque la loro troupe dalla televisione al cinema, per capire se almeno il mondo della settima arte si salva da mestieranti improvvisati, palloni gonfiati, ignoranti patentati, raccomandati cronici.

E ce la mette tutta il buon René per provare a fare un film intellettualmente corretto. Fa fuori senza pietà Duccio -il suo direttore della fotografia cocainomane-, Biascica -il capo macchinista mezzo psicopatico-, Itala -la segretaria di edizione alcolizzata-, e tutto il resto della sua "armata Brancaleone" della macchina da presa (che per poco non lo lincia), e si affida alla "meglio gioventù" che il cinema italiano gli può offrire. 

Ma sarà poi davvero così? Ovviamente no, il salotto buono del cinema italiano è mal frequentato, fatto di troppa gente presuntuosa e frustrata. Fantastica, in tal senso, la parodia dell'attrice italiana impegnata.
Morale della favola? Un cinepanettone ci salverà. E ci seppellirà. 

Boris anche al cinema si conferma il gioiellino che aveva conquistato clandestinamente la televisione. Specchio di un'Italia reale, non fa però la morale. Fa ridere con intelligenza, non denuncia apertamente ma insegna molto più di  pallosi saggi sociologici. E' un film corale dove però i personaggi non si disperdono, anzi. Renè (Francesco Pannofino) giganteggia, ma come non "innamorarsi" della sua cinica assistente Arianna (Caterina Guzzanti), o dell'ex stagista "Seppia" (Alessandro Tiberi), o del tronfio attore Stanis (Pietro Sermonti), o ancora dell'immensa attrice "cagna maledetta" (una strepitosa Carolina Crescentini)? E tenetevi a mente il nome di Martellone... 
E' un film da vedere con gli occhi e col cuore. Con gli occhi del cuore, anzi.