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Jo Squillo: Dior, la collezione Haute Couture per lʼestate 2020

“What if Women Ruled the World?”*: è questa frase con cui Judy Chicago, leggendaria artista femminista americana il luogo e il ritmo della passerella a condurci nel cuore della collezione Haute Couture di Maria Grazia Chiuri.

Per Chiuri ogni collezione ha un significato preciso. È verifica continua del suo progetto. Confronto e condivisione per visualizzare il complicato rapporto tra femminismo e femminilità. Consapevole che la moda si occupa di corpi: li riprogetta ogni volta ridefinendo quel campo di battaglia che è il corpo delle donne. È da questo interrogarsi impastato dal desiderio di nuove esperienze che nasce il confronto con scrittrici, studiose, artiste, chiamate a collaborare per il set up della sfilata. The Female Divine è il concetto che diventa allora riparo, scena, opera monumentale, insieme celebrazione e riconfigurazione di un potere antico, quello della grande madre, che – superando l’idea di procreazione – ridefinisce quel grande corpo femminile animato dal gesto del prendersi cura. Chiuri decide allora di lasciare spazio alla visione di una artista che ha vissuto da protagonista il dibattito di quel femminismo impegnato che fra gli anni sessanta e settanta del Novecento ha proclamato il diritto a una sessualità svincolata dalla procreazione, e di costruire la sua collezione per dare immagine, a una idea di femminilità trionfante e padrona del suo potere.

È il peplo – indumento assoluto nella sua attualità – a essere riferimento progettuale non solo per quanto riguarda la sequenza degli abiti da sera: è il drappeggio scarnificato nella sua modernità atemporale ad abbracciare e accompagnare il corpo, a diventare elemento costruttivo anche nella serie di pezzi che articolano la couture da giorno, come giacche avvitate dai colli ampi, accompagnate da gonne e pantaloni, spesso per diventare smoking, nei materiali maschili – come il pied de poule, il chevron, le armature diagonali – intrecciati nell’oro. Ripartire dal peplo vuole dire anche ripartire dalla domanda dell’ultima collezione couture, “Are Clothes Modern?”, è connettersi ancora una volta ai codici Dior e al lavoro dei suoi direttori creativi, rendendo omaggio al peplo d’oro di Marc Bohan che diventa referenza trasfigurata e citata in quella teoria di figure che omaggiano il Female Divine, e che indossano una serie di pepli che diventano aura impalpabile delle donne del nostro tempo. Sono declinati in colori meravigliosi, eco di quelli che sappiamo ricoprivano la statuaria dell’antichità, come il rosso, il verde, il poudre nello chiffon, e nella mussolina di seta. Stretti e sostenuti da cordoni intrecciati che diventano decoro sulla pelle nuda.
È il superamento di quell’immagine arcaica, plasmata dal dovere della procreazione in una nuova idea di maternità. Come doveva essere nella mostra di Harald Szeemann La Mamma, rimasta purtroppo solo progetto. I riferimenti visivi allora spaziano dalle raffigurazioni classiche di una dea come Atena che tiene insieme le qualità maschili e femminili, e che ogni anno nelle cerimonie a lei dedicate riceveva in dono il peplo. Al corpo possente e assertivo, esaltato dal peplo, della Nike di Samotracia, che accoglie ogni giorno al Louvre migliaia di visitatori. Fino ai misteri interpretativi di un dipinto come la Primavera di Sandro Botticelli, dove la sequenza di figure femminili calate in quella natura di cui hanno cura e rispetto, tra cui spiccano le tre grazie, è allegoria neoplatonica della bellezza plasmata dalla conoscenza e dall’etica: al centro della composizione si pensa ci sia Giunone incinta, senza unione sessuale, di Marte celebrazione di quel mistero che è il concepimento virginale. Un universo femminile che è incontro fra forza intellettuale e armonia estetica. Sono allora le spighe del grano, la pianta dorata che nutre e sostenta, a essere uno dei motivi ricorrenti di questa collezione che ancora una volta ricorda alla donna la sua forza costruttiva e curativa. Perché, veramente: “What if Women Ruled the World?”*.

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