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I giovani escono sempre più tardi da casa: sette su dieci vivono ancora con i genitori

Solo in altri quattro paesi europei i giovani lasciano la casa dei genitori più tardi che in Italia. Nel nostro Paese si “cresce” tardi soprattutto al Sud, spesso per via di percorsi di studio lunghi e di una stabilità lavorativa che stenta ad arrivare.

I giovani escono sempre più tardi da casa: sette su dieci vivono ancora con i genitori - foto 1
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I nostri giovani “lasciano il nido” sempre più tardi: quasi 7 su 10 vivono ancora con mamma e papà (69,4%), quando nel resto d’Europa il dato medio si attesta al 50,6% dei maggiorenni under 35.

Soltanto quattro stati europei – Croazia, Grecia, Slovacchia e Portogallo – fanno peggio dell’Italia. E negli ultimi 10 anni la situazione è addirittura peggiorata, visto che nel 2012 i giovani ancora in cameretta erano il 61,4%. A rilevarlo è un recente focus dell’Istat, di cui il portale Skuola.net ha evidenziato i passaggi più significativi. Ma le cattive notizie non finiscono qui: ci sono aree del nostro Paese in cui le cose vanno anche peggio. Nel Mezzogiorno, in particolare, il passaggio verso l’età adulta è lungo e complicato: qui è addirittura il 71,5% dei 18-34enni a non aver tagliato il cordone ombelicale con i genitori. Mentre al Nord si scende, per così dire, al 64,3%.

 

Lunghi percorsi di studio e scarse prospettive di lavoro: al Sud le maggiori difficoltà

 

Ma guai a giudicare un libro dalla copertina: sarebbe troppo semplice accusare i giovani di “pigrizia”, come spesso accade in questi casi. Bisogna infatti considerare almeno altri due fattori: l’innalzamento dei livelli di istruzione delle nuove generazioni e, parallelamente o successivamente - a seconda che si prosegua negli studi o si cerchi lavoro dopo la scuola - le scarse prospettive occupazionali.

 

Negli ultimi anni è, infatti, aumentata la propensione agli studi universitari, soprattutto nel Mezzogiorno: qui nell’anno accademico 2021-22 si registrano 58 immatricolati ogni 100 residenti di 19 anni, in linea con quanto succede nel Centro-nord, dove sono il 56%. Il problema è che poi una buona parte di loro finisce inevitabilmente fuori corso o prolunga la sua permanenza nel sistema formativo. Al Sud, infatti, il 16,1% dei 25-34 anni è ancora alle prese con la formazione, mentre al Centro-Nord solo l’11,2%.  Dati in significativo aumento rispetto al 2001, quando erano solo il 10,7% nel Mezzogiorno e l’8,9% nel Centro-Nord.

 

Inoltre, anche se potremmo essere portati a pensare che i giovani meridionali bussino alle porte del mercato del lavoro con una formazione migliore, visto che restano nel sistema universitario in numero maggiore rispetto ai loro coetanei settentrionali, la realtà conduce da un’altra parte: in tanti, al Sud, forse interpretano l’esperienza accademica come un’alternativa all’assenza di lavoro, che affligge soprattutto le loro zone. 

 

Il paradosso: aumentano le immatricolazioni nelle regioni con alta disoccupazione

 

Perché il grande paradosso è che, negli ultimi anni, le immatricolazioni sono aumentate soprattutto nelle regioni con alta disoccupazione e basso Pil pro-capite: fra il 2010 e il 2022, ad esempio, la Sicilia ha registrato un +15,6%; la Sardegna un +13,6%; la Calabria un +10,9%. Laddove, nelle regioni con meno ostacoli all’inserimento nel mondo produttivo la crescita, in un quadro generale col trend di immatricolazioni di segno fortemente positivo, resta contenuta: Lazio +8,4%; Lombardia +5%.

 

Certo, la carenza di opportunità lavorative stabili e di buona qualità nel Mezzogiorno non è una novità, ma la situazione oggi è drammatica. Il tasso di attività tra i 20-34 anni del meridione, già basso nella generazione precedente (60,3%) si riduce ulteriormente (54,4%). Così come il tasso di occupazione (41,6%, dal 45,3%), mentre resta molto elevato quello di disoccupazione (23,6% al Sud; solo 9,1% nel Centro-nord).

 

Matrimonio e figli, un'utopia prima dei 35 anni

 

In questo scenario, non sorprende quindi che si stia spostando in avanti anche l’età di due passaggi fondamentali per sancire il distacco dal nucleo familiare d’origine: il matrimonio e la nascita dei figli.  Nel 2021, l’età media del (primo) matrimonio degli italiani è stata di circa 36 anni per lo sposo e di 33 per la sposa. Nel 2004 era, rispettivamente, di 32 e 29 anni. 

 

Alla fine, nel 2021, solo il 12,9% dei giovani under 35 risultava coniugato o coabitante in un nucleo familiare autonomo, con un lieve aumento nel Centro-nord (13,6% contro l’11,7% del Sud). A inizio millennio la situazione era sicuramente migliore. Nel 2001 viveva in una famiglia propria oltre un quarto dei giovani 18-34enni (il 28,3%), che al Sud salivano al 30,2%.

 

Allo stesso modo, l’età del primo figlio sta salendo di circa un anno ogni dieci: oggi una donna partorisce per la prima volta attorno ai 32,4 anni mentre nel 2001 lo faceva a 30,5. Più in generale, oggi solo il 14,4% degli under 35 ha almeno un figlio; un dato in netto calo rispetto al 2001, quando la quota di giovani genitori si attestava al 21,7%. E, soprattutto, la metà dei 34enni (55,8%) aveva già procreato: nella generazione attuale lo ha fatto solo il 40,8%. Circostanze, queste, che stanno trascinando il nostro verso quel famoso “inverno demografico” preconizzato da molti.

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