“Data una quindicina d’anni ma non smette di essere di un’assoluta, divertente e raggelante, attualità”. Così Marco Tullio Barboni – sceneggiatore, regista e negli ultimi anni scrittore di successo – definisce il suo cortometraggio “Il grande Forse”, interpretato da Philippe Leroy, scomparso all’età di 93 anni il 1 giugno dello scorso anno, e da Roberto Andreucci. Di questo lavoro, di cui Barboni è autore del soggetto, della sceneggiatura e della regia, si continua a parlare, soprattutto in questi giorni che precedono la notte di Halloween, da cui il cortometraggio prende spunto. Reperibile in rete, ve ne consigliamo la visione se ancora non lo conoscete.
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Perché’ ancora tanto successo, dal 2010, per questo suo lavoro?
La circostanza che un cortometraggio come “Il grande forse” riscontri un rinnovato interesse in questi giorni che si approssimano alla notte di Hallowen è sicuramente dovuto alla sua tematica senza tempo e alla magia di un atmosfera, quella delle vestigia dell’Appia Antica, che contribuiscono a rendere la notte di Hallowen de “Il grande forse” paradigmatica di tutte le notti celebrate come quelle in cui il confine tra il mondo dei vivi e quello dei protagonisti dell’aldilà tende a confondersi.
Come e’ nata l’idea?
L’idea mi è sgorgata dentro all’improvviso dopo aver rivisto, dopo tanti anni e per il puro piacere di rinfrescare la memoria, “Il settimo sigillo “ di Bergman. E subito mi sono prefigurato lo svolgimento nella mente. Un paio di giorni e la sceneggiatura era pronta. Ne ho immediatamente parlato con il mio amico Roberto Andreucci, brillante produttore indipendente con la vocazione dell’attore che avrebbe potuto nell’occasione esprimere entrambi i suoi talenti. Il Caso ha voluto che Roberto avesse appena finito di lavorare con Philippe Leroy il quale, prontamente interpellato, ha accettato con entusiasmo di interpretare il ruolo del protagonista. Detto fatto. Attingendo alle amicizie abbiamo rapidamente messo su un cast tecnico e artistico di prim’ordine (Musiche di Franco Micalizzi, fotografia di Maurizio Calvesi, costumi di Sandro Scarmiglia...) e in tre gelide notti tra i meravigliosi reperti dell’Appia Antica abbiamo girato “Il grande forse” ottenendo nell’anno successivo numerosi riconoscimenti sia in Italia che in Francia.
Cosa ha significato per lei, nella sua carriera, questo cortometraggio?
A posteriori posso dire che “Il grande forse” ha rappresentato il mio momento di passaggio dal cinema alla letteratura, dettato dalla possibilità di affrontare tematiche che difficilmente mi sarebbe stato possibile approfondire con dei lungometraggi. Tuttavia mi piace pensare che se avessi dovuto girarlo adesso, lo avrei fatto esattamente alla medesima maniera perché questo significherebbe aver mantenuto intatti l’entusiasmo, la creatività e l’amicizia di allora.