Il musicista ospite a "Jazz Meeting" parla della sua formazione
di Giancarlo Bastianelli
Palermo si è illuminata delle note del pianoforte, grazie a "Piano city Palermo", festival che giunto alla sua quarta edizione, ha visto ulteriormente consolidata la sua fama. Il successo della manifestazione testimonia la volontà di tutto il settore di riprendere l'attività live. Tre giorni vissuti intensamente, grazie ai tanti concerti in programma, che hanno visto il pianoforte nelle sue molteplici declinazioni, come fulcro della manifestazione in dieci luoghi simbolici: lo Stand Florio, il Teatro Massimo, il Nautoscopio, i Cantieri Culturali alla Zisa, Santa Maria dello Spasimo, Palazzo Abatellis, La Favorita e altri ancora.Tra i concerti più attesi quello del pianista e compositore Roberto Macrì "Modern Jazz, Piano Standards & Originals", dove il musicista ha avuto modo di mettere in luce il suo pianismo poliedrico ed originale.
Macrì, diplomato in pianoforte con il massimo dei voti, lode e menzione d'onore presso l'ISSM “V. Bellini” di Caltanissetta, si è successivamente specializzato in discipline musicali – Indirizzo Interpretativo Compositivo, con il massimo dei voti e la lode, e in didattica strumentale (A77), e ha inoltre proseguito gli studi pianistici con Sergio Perticaroli, a Roma e presso la “Schola Cantorum” di Parigi. Ha sviluppato un forte interesse per la musica Jazz, studiandola dapprima autonomamente e in seguito frequentando i seminari e le lezioni di Barry Harris, Ramberto Ciammarughi e Stjepko Gut.
Roberto, nostro ospite a "Jazz Meeting", parla così della sua formazione.
La mia parabola artistica è stata particolare, dice Roberto Macrì, dal momento che lo studio del pianoforte classico è stato la conseguenza di un interesse musicale che ha abbracciato più generi. Ho iniziato fin da quando mio padre mi regalò la prima tastierina e cominciai ad "esplorare" i suoni.
A quattro anni prendevo le prime lezioni di pianoforte, poi ho incontrato il jazz, che secondo me è una sorta di "base" della musica moderna ed è stata la naturale prosecuzione del mio cammino artistico.
Come hai vissuto il passaggio da pianista a compositore?
Come spesso accade per i musicisti jazz, l'esigenza di comporre nasce dalla pratica pianistica; lavorando sugli standard ed improvvisando, per portarli su un piano personale, riarmonizzando e variando i parametri del brano, si arriva a "creare" qualcosa di proprio.
Le due cose sono strettamente collegate; nel concerto di Palermo ho cercato di evidenziare i diversi aspetti della mia formazione musicale, che toccano diversi generi: non solo il jazz e la classica, ma anche il Prog e la fusion.
Come vivi il rapporto con il pubblico?
Nella musica improvvisata il calore del pubblico gioca un fattore importante, è più un rito collettivo piuttosto che qualcosa di unidirezionale, dal pianista al pubblico.
Nel concerto a "Piano City Palermo", ho proposto per piano "solo", anche due brani che erano stati concepiti per le tastiere elettroniche.
Sono anche ingegnere del suono: la sua ripresa, la riproduzione e l'editing sono azioni che mi hanno interessato da sempre.
Ho fatto questo perché un musicista oggi deve, a mio avviso, saper curare diversi aspetti.