Il sassofonista ospite di Jazz Meeting
di Giancarlo Bastianelli© Ufficio stampa
"The Crossing” è il titolo del nuovo lavoro discografico del sassofonista e polistrumentista Enzo Favata. Il musicista è uno dei nomi più rappresentativi del jazz italiano, attivo fin dai primi anni 80, ha saputo costruire un linguaggio personale che attraversa gli stili e lo spazio, esplorando con la sua ricerca sonorità e strumenti della tradizione della Sardegna e del mondo, sempre con uno sguardo verso il futuro. Favata è anche direttore artistico del Festival Internazionale del Jazz Musica Sulle Bocche, che si tiene da 20 anni, ora a Castelsardo ma prima a Santa Teresa Gallura (Sardegna), caratterizzato sia per il suo programma sempre innovativo, che per la sua sensibilità verso argomenti come l’ambiente e il paesaggio. Ad accompagnare Favata in questo "viaggio", musicisti di prim’ordine e di differenti generazioni, come la bassista Rosa Brunello, il vibrafonista Pasquale Mirra e il batterista Marco Frattini.
È lo stesso Enzo Favata, gradito ospite a “Jazz Meeting”, ad illustraci il progetto. "Avendo suonato molto e molto viaggiato in 35 anni di carriera, per il progetto 'The Crossing' ho scelto musicisti che condividono il mio concetto di musica globale: una miscela fatta di jazz, ma anche di altri stili, un suono che si sposa con le nostre differenti età e con altri generi musicali; una scelta quindi non casuale, il volere con me una contrabbassista e compositrice come Rosa Brunello, che ho deciso di coinvolgere perché ha anche un forte feeling con il basso elettrico. Lo stesso vale per pasquale Mirra, vibrafonista ma in realtà, come me, polistrumentista che usa il live electronic e il batterista Marco Frattini. Non esistono tra noi confini di genere: jazz, rock o prog", spiega il musicista.
In "The Crossing" il tuo saxello "dialoga" in effetti con una sezione ritmica
Si, perché tutto è molto percussivo il mio è un sax con un timbro più "grosso", rispetto a quello del soprano. Il disco è in sostanza “figlio" della pandemia. Alle varie registrazioni che avevamo fatto dal vivo nei concerti, ho aggiunto strumenti come sintetizzatori modulari e analogici o archi, affidati in questo caso a Salvatore Maiore e Maria Vicentini. Poi ho chiamato la bravissima Pilar, una cantante tra il popolare e la musica d'autore che mi ha prestato la sua voce, cantando i temi dei vari brani. Molti di questi musicisti abitano ad Alghero dove vivo, poi non poteva mancare Marcello Peghin, musicista con il quale lavoro da 35 anni.
Il disco si apre con “Roots” classico dei Nucleus di Ian Carr
Si, loro sono stati per me un punto di riferimento. Carr non fu soltanto l’autore della più importante biografia sul Miles Davis, ma fu, a sua volta, anche un grande trombettista. Quindi i Nucleus, sono stati un “faro” per molti. Li scoprii grazie a un mio amico sardo che lavorava a Londra e che mi portava dischi che acquistava nel mercato di Portobello. Tra questi anche "My Favorite Things" di John Coltrane che fu tra i primi album che acquistai, ma anche dischi rock dei Led Zeppelin o dei Pink Floyd.In quel periodo internet ancora non esisteva e contava molto il "passaparola", per approvvigionarsi di dischi. Erano periodi in cui alle 14,30 in pieno pomeriggio potevi vedere in tv da “Umbria Jazz”, un concerto di Charles Mingus.
Mi sembra che la critica musicale abbia "risposto" molto bene al disco...
Si nel Regno Unito, mi hanno definito "costruttore di ponti", un concetto per me importante, dal momento che da sempre ho lavorato per unire musiche ed artisti diversi tra loro. Mi ritrovo nelle parole del grande Duke Ellington che diceva: nella musica non esiste un genere, ma solo ciò che arriva o non arriva al cuore.
Contate di riprendere l'attività dal vivo?
Prima della Pandemia, abbiamo fatto in lungo tour in Asia. In Europa ci siamo esibiti al Festival di Edimburgo.La scorsa estate abbiamo suonato molto in Italia. Ora contiamo di fare altrettanto per portare alla gente la nostra musica senza "confini".