Sermoni inutili e noiosi, serate pesantissime, troppi pezzi mediocri... Da anni l'Ariston non rappresenta più la canzone italiana, ma qualcuno ha mai pensato di rilanciarlo veramente partendo proprio dalla musica?
di Domenico CatagnanoSanremo 2012, serata finale, cronache dal divano. Lei: "Che noia stasera... ma te la ricordi negli anni '90 quell'edizione con Nilla Pizzi, Jimmy Fontana...". Lui: "Nilla Pizzi? Anni '90?". Ancora lei: "Ma sì... erano insieme a un altro gruppo di cantanti di una volta, c'erano pure Wilma Goich e quell'altro, Amedeo Nazzari...". E lui: "Al massimo era Gianni Nazzaro, e ora me lo ricordo, sì, cantavano una cosa tipo 'Una canzone italiana' ". Finisce lei: "Sì, sì... proprio quella, nulla di che, ma almeno erano divertenti".
Il Sanremo del tempo che fu è l'antidoto anti-noia mentre va in onda il secondo sermone del Molleggiato, che al Festival della canzone italiana (canzone, ribadiamo, canzone!) farfuglia qualcosa sul senso della vita, sulle corporazioni che si sono coalizzate contro di lui e, inaspettatamente (ma solo per lui, in verità), si becca fischi e sonori buuuuu. E la pasionaria Mori a gridare al complotto che complotto non è, perché è chiaro che la gente è stufa di micidiali polpettoni come è altrettanto chiaro che ormai questo tipo di Festival nè carne nè pesce ha chiuso il suo ciclo.
Senza star lì ad accanirci ulteriormente contro Celentano, a criticare la durata chilometrica di ogni serata, a punzecchiare Morandi che ce la mette tutta ma conduttore non è, a sottolineare che se mai qualcuno si ricorderà di quest'edizione sarà per via della farfallina di Belen, parliamo delle canzoni, che di Sanremo dovrebbero essere l'anima e il cuore.
Ormai da qualche anno lo schema ai blocchi di partenza è consolidato. E cioè artisti nati nei talent televisivi (che hanno gran seguito e non sgarrano, non a caso tre degli ultimi quattro vincitori del Festival vengono da lì), altri che senza la vetrina Sanremo non se li filerebbe nessuno, qualche grosso nome che fa da "padrino" a un cantante meno noto (l'anno scorso Battiato con Madonia, quest'edizione Dalla con Carone), glorie più o meno vecchie in cerca di rilancio e l'ormai solita presenza indie eliminata senza pietà alla prima apparizione (quest'anno è toccato ai Marlene Kuntz, in passato agli Afterhours). Insomma un bel calderone in un gran carrozzone che con lentezza pachidermica è andato avanti per cinque interminabili serate ma che con velocità supersonica sarà già dimenticato tra poco meno di una settimana. E anche per le canzoni l'immortalità ormai è un'utopia: quelle delle ultime edizioni del Festival che si ricordano sono rare almeno quanto i celeberrimi Gronchi Rosa che fanno godere i filatelici.