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LA STRANA POLITICA ESTERA DEI 5 STELLE 

Sul fronte della politica estera presto il M5S dovrà fare i conti con quella realpolitik che lo ha già trasformato in patria

Se in politica interna il Movimento 5 stelle ha disatteso o deluso molte delle aspettative di militanti ed elettori, non così si può dire sul fronte della politica estera. Per il partito di Beppe Grillo il viaggio dal Parlamento “aperto come una scatola di sardine” fino a Villa Pamphili per gli Stati Generali è costellato da voltafaccia costanti e clamorosi.

Per quanto riguarda la politica estera, invece, i cinquestelle mantengono una linea di continuità con il passato “movimentista”.
E’ vero che in Europa i grillini si stanno sempre più schierando pro establisment. Ormai sembrano aver sposato senza riserve l’impostazione del PD che vede nell’adesione alle richieste dell’Unione europea l’unica via di salvezza per l’Italia.
Insomma anche il M5S voterà a favore del Fondo Salva Stati, qualunque siano le conseguenze.


Diversa la situazione sui quadranti extraeuropei. Qui le posizioni non sono cambiate. Come dimostra il presunto scandalo del finanziamento venezuelano al movimento di Casaleggio. Una notizia bollata come fake dal gruppo dirigente grillino ma che ha si presta ad un equivoco di fondo. I 5 Stelle sono stati l’unico grande partito di governo in Occidente ad aver sostenuto, sempre e comunque, il governo Maduro evitando di riconoscere l’autoproclamato presidente Guaidò.


Una scelta, in linea teorica, non per forza da condannare. Ogni partito può dare le valutazioni politiche che crede sull’operato di altri governi senza doversi omologare con le posizioni dell’Unione Europea. Diverso se quel partito guida il Ministero degli Esteri. Allora le valutazioni devono essere più attente e diplomatiche.


Invece la linea scelta della Farnesina, sotto la guida di Di Maio, ha creato tensioni a vari livelli. Si pensi al caso della via della Seta ovvero le relazioni commerciali con la Cina. Un’apertura di credito a Pechino mal digerita oltreoceano. Ma a Washington si temono nuovi “colpi di testa” della nostra diplomazia.

 

Altra anomalia di questo partito è il ruolo di Alessandro Di Battista. Fuori da cariche di partito e istituzionali dal 2018 continua ad essere considerato un leader del Movimento e ad avere un ruolo preminente sui media e nella politica italiana.


Fatto curioso è anche la sua passione per i viaggi. In forza delle sue collaborazioni con Caritas, Amka Onlus e Consiglio italiano per i Rifugiati dal 2010 ha viaggiato in lungo e in largo per il sud e centroamerica. Dall’Argentina a Cuba (ma non il Venezuela). Il fatto di essere diventato da poco padre non gli ha impedito, anche recentemente, lunghi soggiorni all’estero per scrivere libri o effettuare reportage .

 

Si tratta spesso di paesi poco conosciuti ma che non godono di buona stampa in Occidente. E’ il caso dell’Iran, meta del suo ultimo viaggio. Relazioni e visite in questi stati si prestano facilmente a equivoci e illazioni . Come quelle che vogliono un Di Battista in giro per il mondo a “vendere” un partito che non c’è (più): rivoluzionario, antisistema, di sinistra.


O l’altra voce che individua in Di Battista il vero ministro degli esteri italiano in un gioco delle parti con l’amico/rivale Di Maio.Ma anche sul fronte della politica estera presto il M5S dovrà fare i conti con quella realpolitik che lo ha già trasformato in patria.
 

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