Cerimoniale meno sfarzoso per il saluto di fine anno ai cittadini
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Scenografia diversa per l'ottavo discorso di fine anno - il primo del secondo settennato - di Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato, in giacca blu, gilet di lana e cravatta bordeaux, ha scelto di non sedersi alla grande scrivania presidenziale del suo studio ma dietro un essenziale tavolo di lavoro di legno chiaro. E nel suo discorso compaiono per la prima volta anche gli italiani con sette lettere usate dal presidente.
Niente foto incorniciate, libri o altri oggetti, ma solo i fogli del discorso poggiati davanti. La scrivania "ufficiale" appariva sullo sfondo; ben visibili, nello studio, le tre bandiere dell'Italia, dell'Unione europea e del Quirinale. Con la voce arrochita da un raffreddamento di stagione, Napolitano ha parlato per circa venti minuti, sottolineando con i gesti delle mani i punti più significativi. Come quando ha ricordato di aver accettato il bis al Quirinale il 20 aprile scorso solo su pressione delle "diverse e anche opposte forze politiche": mentre lo diceva ha battuto con la mano sulla scrivania. Mentre con un sorriso ironico ha respinto le critiche sul suo presunto "strapotere personale".
Le sette lettere degli italiani - Sono sette le storie di italiani citate dal presidente, un altro fatto inedito. Il primo a essere citato è Vincenzo, un ex imprenditore di un centro industriale delle Marche che a 61 anni è rimasto senza attività (aveva un calzaturificio con 15 dipendenti) e senza lavoro. E' lui che gli rivolge un appello a tagliare le spese della classe politica: "Non puo' essere che solo noi 'semplici cittadini' siamo chiamati a fare i sacrifici. Facciamoli insieme. Che comincino anche i politici". Proposta che ottiene il plauso di Napolitano: "Mi sembra un proposito e un appello giusto".
E' poi la volta di Daniela, della provincia di Como. Si lamenta del fatto che il suo fidanzato, che ha 44 anni, iscrittosi allo sportello lavoro del paese, non viene mai chiamato: è "giovane per la pensione e già vecchio per lavorare". "Parole drammatiche", chiosa il presidente.
Marco, della provincia di Torino, rivolge a Napolitano una "forte denuncia della condizione degli esodati", che il presidente rilancia. Napolitano riferisce poi il caso di un anonimo padre di famiglia, titolare di un "modesto stipendio pubblico", che gli scrive: "Questo mese devo decidere se pagare alcune tasse o comprare il minimo per la sopravvivenza dei miei due figli".
E' la volta di Franco, agricoltore di Vigevano, l'unico che non racconta una storia di difficoltà ma che chiede di far rivivere lo "spirito di fratellanza" degli anni della ricostruzione. Napolitano chiude con due lettere di ragazzi. Serena, che scrive da un piccolo centro della provincia di Catania, dice: "voi adulti e politici parlate spesso dei giovani e troppo poco con i giovani". Infine Veronica, di Empoli, ancora disoccupata a tre anni dalla laurea ottenuta "a prezzo di grandi sacrifici". "Io credo ancora nell'Italia, ma l'Italia crede ancora in me?", chiede Veronica. "Una domanda - commenta Napolitano - che ci deve scuotere".