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Uccisi in Libia, martedì rientro salme Roma a Tripoli: "Non fate l'autopsia"

I corpi di Failla e Piano torneranno in Italia "entro e non oltre martedì", assicura Gentiloni. Le suppliche: "Non vendeteci allʼIsis" Il ritorno a casa, velato di tristezza, di Pollicardo e Calcagno

Uccisi in Libia, martedì rientro salme Roma a Tripoli:
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Le salme dei due italiani uccisi in Libia, Fausto Piano e Salvatore Failla, rientreranno al massimo "entro martedì".

Lo ha assicurato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, spiegando che il governo sta lavorando "incessantemente" per rimpatriare i corpi dei due ostaggi uccisi a Sabrata. I nostri connazionali furono rapiti nel luglio 2015 insieme a Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, appena tornati in Italia.

Roma a Tripoli: "Niente autopsia" - A quanto si apprende, l'Italia ha fatto richiesta formale alle autorità libiche affinché non effettuino l'autopsia sui due corpi, come richiesto anche dalle famiglie delle vittime. Non si sa se l'esame autoptico, tuttavia, sia già stato effettuato.

Rapimento, nuova ipotesi: sono stati venduti - I quattro tecnici rapiti in Libia a luglio potrebbero essere stati "venduti" ai sequestratori. E' una delle ipotesi al vaglio degli inquirenti. Il giorno del rapimento, infatti, i quattro hanno viaggiato verso Mellitah via terra, cambiando l'abitudine di arrivare via mare. Proprio durante il percorso a bordo di un'auto guidata da un autista locale i quattro italiani sono stati rapiti insieme al guidatore libico, che poi è misteriosamente scomparso. La circostanza fa pensare alla possibilità che i rapitori fossero stati informati del passaggio dei quattro lungo la strada che li doveva portare a Mellitah. Non si è trattato, come si dice in gergo investigativo, di un "rapimento stanziale", ma il sequestro è avvenuto a seguito di un cambio di abitudini e questo lascia aperta l'ipotesi di un "tradimento".

Le suppliche: "Non cedeteci all'Isis" - Stando a quanto raccontato da Pollicardo e Calcagno, i quattro tecnici della Bonatti hanno più volte supplicato i loro sequestratori durante i sette mesi di prigionia in Libia affinché non li vendessero all'Isis. I rapitori risposero: "Tranquilli, non lo faremo".