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Sudan, Onu: "Oltre 180 morti in tre giorni di scontri" | Medici denunciano: "Bombardati gli ospedali di Khartoum"

Le strutture sanitarie sono situate vicino "a siti strategici" del conflitto in corso tra esercito e forze paramilitari. L'esercito riprende il controllo della tv di Stato


In Sudan si protrae ormai da tre giorni lo scontro fra esercito e paramilitari, che ha già causato quasi 200 morti in un bilancio che rischia di continuare drammaticamente ad aggravarsi.

Le forze armate hanno potuto annunciare la riconquista della tv di Stato, ma rivendicazioni di successi di entrambe le parti rendono difficile stabilire chi stia effettivamente prevalendo sul campo. Il bilancio di sangue di oltre 180 morti e 1.800 feriti tra civili e militari è del rappresentante speciale delle Nazioni Unite nel Paese, Volker Perthes. Intanto, i medici hanno lanciato un appello perché gli ospedali di Khartoum, situati "vicino a importanti siti strategici" del conflitto in corso, non siano più bombardati e possano continuare a operare.

 

Aggredito l'ambasciatore Ue

 L'ambasciatore dell'Ue in Sudan è stato aggredito nella sua residenza. "Si tratta di una grave violazione della Convenzione di Vienna. La sicurezza delle sedi diplomatiche e del personale è una responsabilità primaria delle autorità sudanesi e un obbligo previsto dal diritto internazionale", ha scritto l'Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell in un tweet.

 

 

Infuria la battaglia a Khartoum

 Lunedì mattina, nel centro di Khartoum, ci sono stati altri bombardamenti aerei, cannoneggiamenti e lancio di missili terra-terra con un numero crescente di abitazioni civili colpite da proiettili vaganti. Due ospedali colpiti da razzi e proiettili sono stati evacuati.

 

La guerra civile

 La guerra civile sta contrapponendo da sabato il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo delle forze armate sudanesi e di fatto presidente del grande Paese dell'Africa orientale, e il suo vice, il capo delle Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdan Dagalo, detto "Hemedti": i due, dopo aver estromesso insieme i civili dal potere con il golpe dell'ottobre 2021, sono in contrasto da mesi soprattutto su tempi e modi dell'assorbimento delle Rsf nell'esercito. Dall'esame degli elementi disponibili, il conflitto appare come una lotta all'ultimo sangue per il potere tra forze armate e paramilitari e per ora il ruolo più evidente dei mercenari russi della Wagner è limitato agli affari nel settore aurifero dell'ex venditore di cammelli Dagalo.

 

Gli appelli per il cessate il fuoco

 Senza schierarsi per nessuna delle due parti, i ministri degli Esteri statunitense e britannico, Antony Blinken e James Cleverly, a margine del G7 in Giappone hanno esortato i due contendenti nell'ex colonia britannica a "cessare immediatamente le violenze" e a tornare al tavolo dei negoziati. Un "appello ai leader delle forze armate sudanesi e delle Forze di supporto rapido affinché cessino immediatamente le ostilità" e "inizino un dialogo per risolvere la crisi" è arrivato anche dal segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, in linea con la Lega araba.

 

L'esercito riprende il controllo della tv di Stato

 L'esercito ha potuto mandare in onda che "le forze armate sono riuscite a riprendere il controllo dell'emittente nazionale dopo i ripetuti tentativi delle milizie di distruggere le sue infrastrutture". Ai paramilitari, Burhan ha fatto promettere attraverso un portavoce che non ci saranno conseguenze se entreranno nell'alveo delle forze armate.

 

I "diavoli a cavallo"

 Su Twitter, Dagalo invece si è appellato alla "comunità internazionale" che dovrebbe "intervenire contro i crimini" di Al-Burhan, "un islamista radicale che sta bombardando i civili" e spera "di mantenere il Sudan isolato e lontano dalla democrazia". L'auto-investitura a paladino dei diritti cozza con il passato di Hemedti: era il comandante di una delle numerose milizie arabe note collettivamente come Janjaweed, quei famigerati "diavoli a cavallo" che il governo dell'allora autocrate Omad al-Bashir impiegò negli anni Duemila per reprimere brutalmente i gruppi ribelli in Darfur. Nel conflitto civile peraltro fu impegnato anche Burhan.

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