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Scontri in Sudan, si spara nonostante i corridoi umanitari a Khartoum: tre operatori Onu uccisi nel Darfur

"Colpi di artiglieria ovunque", afferma un testimone che si trova nella capitale. Colpita la sede della tv panaraba Al Arabiya

Scontri in Sudan, si spara nonostante i corridoi umanitari a Khartoum: tre operatori Onu uccisi nel Darfur - foto 1
Afp

In Sudan continuano i combattimenti per assumere il potere tra gli ex sodali del dittatore Omar al-Bashir, deposto dal colpo di Stato del 2019, il generale e capo della giunta militare Abdel Fattah al Burhan e il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo, che dispone di una milizia armata Rsf.

Si sentono "colpi di artiglieria" ovunque a Khartoum. Lo riferisce una fonte qualificata che si trova con altre persone nella capitale. Intanto tre operatori umanitari del Pam-Wfp, il Programma alimentare mondiale dell'Onu, sono stati uccisi nella regione del Darfur. E' successo nella zona dove l'esercito e i paramilitari si stanno combattendo da sabato. La rabbia del segretario generale Antonio Guterres: "Portare davanti alla giustizia i colpevoli".

In Sudan colpita la sede della tv Al Arabiya

 Negli scontri a Khartoum sono state colpite la sede dell'ufficio di corrispondenza della tv panaraba Al Arabiya e del suo canale di sole notizie al-Hadath.

 

Cosa succede in Sudan

 Il Sudan, uno dei Paesi più ricchi di risorse dell'Africa, sembra sprofondare inesorabilmente verso una guerra civile: la seconda giornata della crisi ha visto allargarsi e intensificarsi i combattimenti tra l'esercito regolare del generale Abdel Fattah al Burhan, capo del Consiglio supremo di transizione dopo il colpo di Stato del 2019, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), il cui leader Mohammad Hamdan Dagalo è considerato uomo molto vicino alla Russia.

 

I combattimenti

 A Khartum si sono tenuti durissimi scontri intorno a tutte le strutture chiave: il palazzo della presidenza, la sede della televisione di Stato, il quartier generale dell'esercito. Le Rsf sostengono di avere il controllo del 90 per cento della capitale, ma la situazione appare molto più incerta. La Croce rossa locale riferisce di combattimenti in corso in tutta la città, anche nelle aree residenziali. Altrove nel Paese le truppe regolari sembrano avere la meglio. Il portavoce delle forze armate, generale Nabil Abdallah, ha rivendicato la conquista delle basi delle Rsf in sette città (Port Sudan, Kassal, al Qadaref, al Damazin, Kosti, Kaduqli e Omdurman) e la liberazione di due ufficiali dell'esercito che erano stati fatti prigionieri dai paramilitari, i generali Rukn al Sadiq Sayed e Othman Awad Allah.

 

Sempre secondo il portavoce militare, il leader delle Rsf, Dagalo, avrebbe fatto perdere le proprie tracce e il compito di trovarlo sarebbe stato affidato a un gruppo di soldati d'elite. La conquista delle basi delle Rsf a Port Sudan, sul Mar Rosso, e a Omdurman, adiacente alla capitale, sarebbe comunque confermata da alcuni filmati che circolano in rete in queste ore e che mostrano i militari dell'esercito regolare esultare all'interno dei due siti.

 

Il bilancio delle vittime

 Il bilancio della prima giornata di scontri è stato di 56 morti civili e di quasi 600 feriti, quello della seconda giornata potrebbe essere assai più pesante. Nel computo vi sono anche tre operatori del Programma alimentare mondiale (Pam) che hanno perso la vita a Kabkabiya, nel Darfur del nord. L'episodio ha indotto l'agenzia delle Nazioni Unite ad annunciare la sospensione delle sue attività nel Paese e l'Onu a rivolgere un appello alle parti in conflitto per consentire l'accesso degli operatori umanitari alle aree teatro di scontri. La proposta è stata accolta sia dall'esercito regolare sia dalle Rsf: una tregua umanitaria dovrebbe essere rispettata ogni giorno per tre ore tra le 16:00 e le 19:00, ma entrambe le parti si sono attribuire il diritto di rispondere al fuoco del nemico in caso di violazioni.

 

Nessuno spiraglio per un dialogo

  Tuttavia, al momento non sembrano esserci margini per un dialogo tra Al Burhan e Dagalo, che si accusano a vicenda di tentare un colpo di Stato. S'intensificano tuttavia gli sforzi diplomatici. I più prossimi vicini, Egitto e Sud Sudan, si sono proposti come mediatori in occasione di una telefonata tra i presidenti Abdel Fattah al Sisi e Salva Kiir. L'Unione africana ha convocato una riunione d'emergenza ad Addis Abeba, al termine della quale è arrivato un invito a evitare ingerenze esterne nella crisi, e lo stesso ha fatto la Lega araba a Il Cairo, su richiesta di Egitto e Arabia Saudita. In precedenza si era avuta una consultazione telefonica tra i capi delle diplomazie di Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati Arabia Uniti, rispettivamente Antony Blinken, Faisal bin Farhan e Abdullah bin Zayed.

 

Tajani al G7 ha espresso la sua "preoccupazione" 

 La crisi in Sudan si è imposta anche tra gli argomenti della riunione ministeriale del G7 iniziata oggi a Karuizawa, in Giappone. Secondo un comunicato della Farnesina, il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, ha espresso nell'occasione "vivissima preoccupazione" per il protrarsi degli scontri armati. Su richiesta italiana, alla ministeriale Esteri dei Paesi G7 era già stata prevista una discussione sull'Africa. "Il governo italiano da tempo ha iniziato a lanciare inviti ad operare più rapidamente per la stabilizzazione politica ed economica dei Paesi del Nord Africa e della regione subsahariana", ha detto Tajani.

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