Nella storia di Israele in molti casi si è trattato di termini di ispirazione biblica. Ma spesso compaiono anche denominazioni belliche, naturali e difensive
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Il nome ufficiale dell'attacco israeliano contro la leadership di Hamas in Qatar è Atzeret HaDin, che si può tradurre come Giorno del Giudizio. Un nome che ha ovviamente un significato simbolico, così come quelli scelti per molte altre operazioni militari israeliane. A volte poetici, come “Cieli blu” a Gaza nel 2005, altre eccentrici, come “House of Cards” usato in Siria nel 2018. Spesso, sottolinea un articolo di Terrasanta.net sul significato di questi nomi, richiamano episodi biblici, come accaduto con “I carri di Gedeone”, l’offensiva lanciata per conquistare la Striscia di Gaza: un riferimento diretto al guerriero che, secondo il Libro dei Giudici, sconfisse i madianiti con appena trecento uomini, esempio di fede e astuzia vincenti sull’inferiorità numerica.
La Bibbia, ricorda il sito, resta una fonte di ispirazione costante: dai “nemici assoluti” associati ad Amalek, evocati anche dal premier Netanyahu, alle citazioni geografiche come la “Freccia di Bashan” in Siria. Non è un caso che quasi il 40% delle operazioni tra il 1948 e il 2007 portasse nomi biblici, secondo uno studio dell’Università Bar-Ilan. Gli altri si dividono tra termini bellici, naturali e difensivi, come “Margine protettivo”, “Guardiano delle mura” e “Spade di ferro”. Ed è in questo solco che vanno letti anche i nomi delle operazioni più recenti, dal 7 ottobre 2023 a oggi. Ecco quali sono.
Il 7 ottobre 2023, in risposta all’attacco a sorpresa di Hamas denominato Al-Aqsa Flood, Israele ha lanciato l’operazione “Spade di Ferro” (Mivtza Cherev HaBarzel). Il nome richiama il concetto biblico di forza e determinazione, evocando l’immagine di spade di ferro come simbolo di potenza e giustizia
Il 30 ottobre 2023 Israele lanciò “Reshit ha’Or” (“Inizio della luce”), operazione che portò alla liberazione del soldato Ori Megidish dalla Striscia di Gaza. Un nome che evocava speranza in un momento di buio profondo.
Il 12 febbraio 2024 fu la volta di “Golden Hand”, raid a Rafah per liberare due civili israeliani rapiti il 7 ottobre. L’operazione riuscì, ma i bombardamenti di copertura causarono decine di vittime palestinesi, alimentando dure critiche internazionali.
Nell’agosto 2024 Israele lanciò “Summer Camps”, l’operazione più vasta in Cisgiordania dai tempi della Seconda Intifada. L’intervento coinvolse Jenin, Nablus, Tulkarm e Ramallah, con arresti di massa e distruzione delle infrastrutture dei gruppi armati. Un nome apparentemente innocuo, in realtà usato con ironia, a sottolineare la durezza delle incursioni.
Il 27 novembre 2024, Israele ha lanciato l'operazione “Freccia di Bashan” (Hets Bashan), un’offensiva militare in Siria a seguito del collasso del regime di Bashar al-Assad. L’operazione ha visto l'occupazione della zona cuscinetto nel sud-ovest della Siria, adiacente alle Alture del Golan, e un’intensa campagna aerea che ha distrutto oltre 350 obiettivi militari siriani, tra cui basi aeree, depositi di missili e radar. Il nome dell’operazione richiama il regno biblico di Bashan, situato nell'odierna Siria sud-occidentale e nell'area orientale della Giordania. Nel contesto biblico, Bashan è descritto come una terra fertile e potente, spesso associata a forze ostili o nemiche di Israele. La scelta di questo nome riflette l’intento di Israele di neutralizzare una minaccia percepita proveniente da una regione storicamente significativa e strategicamente rilevante.
Il 26 dicembre 2024 Israele ha lanciato l’operazione “Tzelilei HaKerem” (“Suoni della vigna”), colpendo obiettivi Houthi nello Yemen, tra cui l’aeroporto internazionale di Sanaa, il porto di Hodeidah e alcune centrali elettriche. L’attacco è stato presentato come risposta al lancio di missili e droni diretti verso il territorio israeliano. Il nome, di chiara ascendenza biblica, richiama la vigna come simbolo della comunità d’Israele, minacciata da nemici esterni e da difendere con decisione.
Non solo Israele: tra il 5 dicembre 2024 e il 21 gennaio 2025 anche l’Autorità Palestinese avviò a Jenin “Protect the Homeland”, offensiva volta a riaffermare la propria autorità contro gruppi armati rivali. Il nome esprimeva la volontà di legittimarsi come unico soggetto in grado di garantire sicurezza interna, ma gli scontri causarono numerose vittime.
Il 21 gennaio 2025 Israele rispose con “Iron Wall”, colpendo duramente le milizie della Cisgiordania, soprattutto nei campi di Jenin e Tulkarm. Il “muro di ferro” evocava l’idea di una barriera impenetrabile, simbolo di deterrenza e forza militare.
Tra il 13 e il 24 giugno 2025 Israele condusse l’operazione “Am KeLav”, il "Leone che si solleva", attaccando oltre cento obiettivi in Iran, compresi siti nucleari e basi militari. Il nome si rifà al Libro dei Numeri: “Il popolo si leva come un giovane leone”. Una scelta per trasmettere potenza e determinazione in una delle offensive più delicate degli ultimi anni.
Il 9 settembre 2025, Israele ha lanciato l’operazione “Giorno del Giudizio” (Atzeret HaDin), colpendo un edificio a Doha, in Qatar, dove si trovavano alcuni dei principali leader di Hamas, tra cui Khalil al-Hayya, Khaled Mashal e Zaher Jabarin. Il nome scelto richiama il concetto di “giudizio finale” nella tradizione ebraica, evocando l’idea di responsabilità e conseguenze inevitabili per chi minaccia lo Stato israeliano. Si tratta di un esempio di come Israele continui a selezionare nomi di forte impatto simbolico, capaci di trasmettere un messaggio morale e politico oltre a quello militare.
Dalle “ombre della vigna” al “leone che sorge”, dai “campi estivi” al “muro di ferro”, ogni nome scelto per le operazioni militari è parte di un linguaggio parallelo al conflitto. Un lessico che intreccia Bibbia, patriottismo e comunicazione strategica, trasformando la guerra in narrazione e incidendo sulla memoria collettiva di Israele e dei suoi avversari.