IL RACCONTO

Nepal in fiamme per la rivolta, famiglia di italiani si lancia dalla finestra dell'albergo per salvarsi: "O ci buttiamo o moriamo bruciati"

Erano arrivati a Kathmandu per svolgere attività di volontariato in una scuola di orfani

11 Set 2025 - 09:08
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Quello che doveva essere un viaggio per svolgere attività di volontariato presso una scuola di orfani tibetani, si è trasformato in un inferno per una famiglia di Parma arrivata l'1 settembre a Kathmandu, in Nepal. A raccontarlo alla Gazzetta di Parma è Filippo Reggiani, 48 anni, responsabile di un gruppo di consulenti informatici, che con la figlia di 11 anni e il padre e la madre di una settantina di anni, si è ritrovato in mezzo alla rivolta scoppiata in Nepal, una rivolta che ha messo a ferro e fuoco il Paese. Il 48enne si è ritrovato tra la vita e la morte, dovendo prendere delle decisioni importanti per sé e i suoi familiari. L'albergo in cui dormivano infatti è stato preso di mira dai ribelli e la famiglia è rimasta imprigionata nella stanza mentre tutto il palazzo andava a fuoco. L'unica opzione per salvarsi: lanciarsi dalla finestra con mezzi di fortuna. Grazie all'aiuto di alcuni tibetani che erano in strada e che vedendoli in difficoltà li hanno aiutati.

"Da tempo facciamo volontariato per una scuola di orfani tibetani - ha raccontato il 48enne -, grazie all'associazione Tashi Orphan school. Abbiamo portato in questa scuola vestiti, scarpe, acqua, matite e persino una macchina da cucire. Già dal primo giorno del nostro arrivo abbiamo iniziato a fare volontariato e mio papà faceva divertire i bambini con i giochi di magia. Ma martedì è successo quello che non doveva accadere". Una vera rivoluzione, con bande armate che hanno occupato la città e dato fuoco a tutto quello che trovavano sulla propria strada. Allora la famiglia Reggiani si è rifugiata in albergo, così come consigliato dalla gente del posto. E la paura è stata tanta: "Eravamo circondati da una vera folla inferocita contro il governo e contro tutti - ha proseguito Filippo Reggiani -. Non potevamo andare in aeroporto perché lo avevano già chiuso. Così come suggerito dalla reception dell'albergo dove alloggiavamo, lo Hyatt Regency, ci siamo chiusi in camera e dalla finestra vedevamo la città buia e i fuochi. Purtroppo in tarda serata ci siamo accorti che anche la hall del nostro albergo era in fiamme. E abbiamo provato a uscire dalla camera, ma anche i corridoi erano pieni di fumo. Così siamo tornati nelle nostre stanze. E non sapevamo cosa fare".

"O bruciamo o ci buttiamo giù e proviamo a rimanere vivi"

 A quel punto Reggiani, che aveva preso i contatti con la Farnesina, che li ha sempre assistiti, ha dovuto fare una scelta: rimanere in albergo e bruciare vivi o lanciarsi dalla finestra per salvarsi. "Non potevamo scappare. Per impedire che il fumo entrasse in camera abbiamo bagnato le salviette e le abbiamo messe intorno alla porta. Una situazione terrificante. Così mi sono messo a gridare aiuto dalla finestra e un gruppo di ragazzi nepalesi si è accorto che mentre il nostro albergo andava a fuoco. Avevamo molta paura ma non potevamo fare altro. Quei ragazzi hanno sistemato due materassi sotto le nostre finestre e ci hanno buttato una corda da aggiungere alle lenzuola, che avevo legato al letto. Eravamo a una quindicina di metri di altezza e non era certo semplice scendere giù, soprattutto per mio padre che ha 74 anni. Ma mi sono detto: o bruciamo vivi e ci buttiamo giù e proviamo a rimanere vivi".

La via di fuga

 Il primo a calarsi con la corda è stato lui. "Sono riuscito a scendere fino agli ultimi due metri e poi sono caduto, fortunatamente mi sono rotto solo due dita. Da sotto cercavo di dare indicazioni a mia figlia, mia madre e mio padre. Quindi, è stato il turno della mia mamma, che è riuscita a rimanere attaccata per diversi metri, poi a circa tre metri e mezzo è volata sui materassi, si è procurata una distorsione alla caviglia ed è svenuta. Poi, mia figlia: io piangevo perché ero terrorizzato che potesse farsi male, ma lei è stata bravissima ed è rimasta incollata alla corda. Purtroppo quando si è buttato dalla finestra mio padre, ha sbattuto il viso contro la parete dell'albergo e si è rotto il naso e tumefatto l'occhio. E' rimasto legato alla corda per poco, come avevo immaginato, e poi ha mollato ed è caduto sul materasso, spaccandosi una gamba. Quei ragazzi ci hanno soccorso e ci hanno accompagnato per 600 metri a piedi. Sembrava l'apocalisse: intorno solo fiamme e macchine che continuavano a bruciare. Abbiamo incontrato anche una banda armata, ma questi ragazzi l'hanno allontanata dicendo che i turisti non si toccano. Arrivati sulla strada principale, davanti all'albergo, siamo stati consegnati all'esercito: i militari hanno capito che avevamo bisogno di cure e così a colpi di mitra per farsi strada tra i ribelli ci hanno accompagnato a un primo ospedale. Da lì in un altro più strutturato. Tutta la famiglia è stata subito messa sotto ossigeno, perché eravamo intossicati. Io stesso non respiravo più. E ieri sera con mia figlia siamo stati dimessi. Grazie alla scuola abbiamo trovato un nuovo albergo e sono anche riuscito a recuperare le valigie, il resto ci è stato rubato. Oggi dimetteranno anche mia madre, mentre per mio padre ci vorrà ancora tempo".

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