L'INTERVISTA

La figlia di Arafat a Tgcom24: "Gaza la catastrofe del secolo, ma Netanyahu cadrà"

"Chiunque insinui che la guerra sia iniziata il 7 ottobre ignora decenni di storia. I palestinesi sono traumatizzati da generazioni di risoluzioni Onu stipate nei cassetti", spiega Raeda

di Dario Donato
14 Ago 2025 - 15:45
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Raeda Taha, potremmo dire, è figlia di due padri. Il primo è Ali Taha, considerato un "martire" in Palestina. Nel 1972, dirottò il famoso Sabena 571 in rotta verso Israele da Bruxelles. Una volta atterrato a Tel Aviv, i quattro dirottatori qualificatisi sotto la sigla di "Settembre Nero" progettarono di scambiare i passeggeri israeliani con circa 300 palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane. Ma Israele riuscì a liberare gli ostaggi con un raid dopo 24 ore di negoziati. Due dirottatori furono uccisi, tra cui Ali, nello scontro a fuoco e altri due furono catturati. Anche un giovane Benjamin Netanyahu partecipò a questa storica operazione militare, insieme a un altro futuro primo ministro, Ehud Barak. Da quel giorno in poi, Raeda e i suoi tre fratelli furono adottati da Yasser Arafat, leader dell'OLP e primo presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese. Dal 1987 al 1994, Raeda ha lavorato con lui anche come portavoce, in un periodo che comprende anche gli storici Accordi di Oslo del 1993, dove, di fronte a Bill Clinton, Yasser Arafat e Yitzhak Rabin si strinsero la mano e firmarono i protocolli di pace che garantirono a entrambi i Premi Nobel. Raeda Taha oggi vive tra Ramallah, Amman e Beirut. Ha vissuto anche negli Stati Uniti e si dedica al teatro e alla cultura, cercando di rappresentare la storia della Palestina in un modo diverso dalla politica.

Ha scelto di parlarci, non senza resistenze e dal suo punto di vista, di Gaza, del rapporto con Israele e di un processo di pace che oggi sembra davvero lontano dalle speranze del 1993.

Innanzitutto, Dario, mi lasci dire che chiunque insinui che la guerra sia iniziata il 7 ottobre ignora decenni di storia. La lotta e la resistenza palestinese contro l'occupazione coloniale non sono iniziate in quella data. Risalgono almeno al 1936, durante la Grande Rivolta Araba contro il dominio britannico e l'espansione sionista, e anche prima, all'inizio del XX secolo. Per comprendere il presente dovremmo rivisitare il passato, non cancellarlo.

Partiamo da Gaza oggi: decine di migliaia di morti, carestia, vite perse. Come vede questa realtà, sia umanamente che politicamente?
Umanamente è inaccettabile e insopportabile. Stiamo assistendo alla catastrofe del secolo, a colori, che si sta dispiegando davanti agli occhi degli abitanti del pianeta. Intere famiglie sterminate, bambini sepolti vivi sotto le macerie e una carestia intenzionalmente progettata. 
Politicamente, questo è il risultato di 77 anni di occupazione, blocco, uccisioni, detenzioni ed esilio forzato, mentre la comunità internazionale non è riuscita a sostenere e difendere i diritti dei palestinesi. Gaza è la Guernica dei nostri tempi. È diventata un simbolo della tragedia della guerra, della resistenza e del prezzo del silenzio. 

Se potesse stabilire una priorità immediata, quale sarebbe: cessate il fuoco, accesso umanitario o scambio di ostaggi? 
L'unica priorità immediata è un cessate il fuoco incondizionato. Il cessate il fuoco è la chiave per qualsiasi altro inizio. Fermare le uccisioni ora. 

Il 7 ottobre è una ferita indelebile per Israele. Su quali basi può riprendere un dialogo credibile? 
Il dolore non è solo nostro, ma il dialogo non può basarsi su una memoria selettiva. Il nostro dolore non è iniziato il 7 ottobre: siamo traumatizzati da generazioni, generazioni di risoluzioni Onu stipate nei cassetti. La verità dovrebbe prevalere riconoscendo l'occupazione, gli sfollamenti e la violenza continua e quotidiana. 

Ok, Raeda, ma quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre va oltre l'immaginazione e la sopportabilità umana. Non è d'accordo? 
Credo di aver già risposto alla sua domanda. 

E cosa pensa di Hamas, come valuta la sua strategia attuale e la sua responsabilità nei confronti dei civili palestinesi? 
Hamas è una fazione del movimento palestinese. La sua strategia, come quella di qualsiasi leadership sotto assedio, è plasmata da decenni di occupazione. È il risultato di una potenza militare israeliana fascista senza precedenti e della complicità internazionale. Hamas non mi rappresenta ideologicamente, ma lo fa per ciò che concerne le mie aspirazioni alla libertà e alla giustizia. La strada verso la liberazione attraverso la lotta armata non è lastricata di rose. 

Ma non pensa che Hamas sia un movimento terroristico più che una fazione? 
Per quanto riguarda la parola "terrorista", torniamo alla storia ed esaminiamo le radici di tale terminologia. Nelson Mandela un tempo era etichettato come terrorista, così come lo erano leader onorevoli e movimenti di liberazione. Come già ho detto oggi la gente vede Gaza a colori. Non in bianco e nero. Stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma globale nella narrazione riguardante i civili palestinesi. 

Netanyahu e la sua leadership: decisioni di guerra, gestione degli ostaggi e il "giorno dopo" a Gaza. Cosa ne pensa? 
Netanyahu ha superato anche i metodi più oscuri del male. Incarna l'immagine stessa di Dracula, prospera di sangue e guerra e non può sostenersi senza di essi. Eppure, la storia dimostra che quando un nemico diventa più spietato, spesso segna l'inizio della sua caduta. Non è solo Netanyahu a scomparire, ma anche il progetto di Israele stesso, istituito dalle Nazioni Unite a spese di un'intera nazione. La sua esistenza è finita, e la questione rimane solo quella dei tempi, che saranno determinati dalla nostra tenace e risoluta resistenza: 77 anni sono un numero insignificante nella storia dell'umanità. 

Netanyahu ha detto in diverse riprese prima di occupare e poi di liberare Gaza. Un'opzione che alcuni dei suoi ministri sembrano approvare. Che tipo di scenario è questo dal suo punto di vista, Raeda? 
Siamo il popolo di questa terra, una terra che richiede sacrificio, resilienza e incrollabile dedizione. Di fronte a un mondo arabo silenzioso, sordo e cieco, siamo soli ad affrontare con la nostra carne nuda l'artiglieria più sofisticata (israeliana, americana, britannica e tedesca). Eppure resistiamo. Netanyahu, come Sharon e altri prima di lui, cadrà. Il suo nome si aggiunge a una lunga lista di coloro che pensavano di poterci spezzare: "Gaza è indistruttibile". Netanyahu non è riuscito a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi militari o simbolici nel porre fine alla resistenza. Non è stato, e non sarà mai, adornato con lo scudo della vittoria assoluta. 
Nient'altro che altro spargimento di sangue, distruzione e devastazione. 

Arafat di fronte a una crisi come questa, cosa avrebbe fatto? C'è qualcosa della sua leadership che manca oggi? 
Arafat aveva dei difetti, ma simboleggiava l'aspirazione dei palestinesi attraverso l'unità, la resistenza e la rappresentanza. Durante l'era di Arafat, il mondo era diviso in due campi: l'Europa orientale e l'Europa occidentale. I movimenti di liberazione erano vivi e attivi e gli slogan riecheggiavano le nostre speranze e i nostri sogni. Ma da allora il mondo è cambiato drasticamente. 
Il panorama globale non è più plasmato da alleanze ideologiche e lo spirito di lotta collettiva è stato sostituito da interessi, silenzio, calcoli e esecuzioni fasciste politiche. Oggi soffriamo di profonde divisioni, tradimenti e l’assenza di un sostegno significativo su tutti i fronti. Eppure la storia ci insegna che le nazioni danno vita a veri leader quando il momento lo richiede. Un leader può cadere, ma l’anima della nazione resiste. 

Oslo, più di 30 anni dopo. Lei era portavoce di Arafat, non solo la figlia adottiva. C'è qualcosa che rimane di quel momento iconico e cosa invece dovrebbe essere accantonato? Quale alternativa immagina? 
Oslo ha dato speranza al mio popolo. Ma la speranza senza giustizia muore. Questo quadro, gestito male, non è riuscito a proteggere noi e i nostri diritti, mentre Israele ha ampliato gli insediamenti e rafforzato il controllo. Oslo è stata un’illusione che ha tradito le nostre speranze. Non avrebbe mai potuto essere sostenibile, perché costruita sull’ingiustizia e sull’inganno. Eppure, dobbiamo anche riconoscere le nostre mancanze e assumerci la responsabilità delle decisioni che prendiamo.

Il "giorno dopo" a Gaza, chi può governare legittimamente? 
L'espressione "il giorno dopo" è diventata un cliché abusato e vuoto nei media israeliani, come se questa terra (non solo Gaza) non avesse legittimi proprietari in grado di decidere e plasmare il proprio futuro. Le interferenze esterne, arabe o straniere, non hanno alcun diritto legittimo di dettare i nostri affari interni. Come popolo, secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite, abbiamo il diritto di resistere, così come abbiamo il diritto di indire elezioni, di ricostruire e di raggiungere l’unità nazionale. Alla fine sono le persone ad avere l’ultima parola.

Parliamo di responsabilità palestinese: Fatah e Hamas non sono riusciti a costruire nulla. Che tipo di rinnovamento chiedete? 
Abbiamo bisogno di un rinnovamento politico radicato nell'integrità, nella gioventù e in una nuova visione. Il nostro popolo è coraggioso, resiliente e creativo, meritiamo una leadership che lo rifletta, attraverso elezioni libere.

Come figlia di Ali Taha, ucciso nel raid che fermò il dirottamento del volo Sabena 571 nel 1972, cosa significa oggi la parola "martire" con Gaza al centro del mondo? Quali sono secondo lei i confini etici della resistenza? 
Mio padre ha sacrificato la sua vita per Gerusalemme, ha dato la sua vita per la Palestina, non per il riconoscimento, ma per la fede nella resistenza per la giustizia. È morto per aprire la strada alla liberazione, per contribuire a costruire un futuro in cui le sue quattro figlie e tutto il nostro popolo potessero vivere in pace e dignità. Come dice Um Saad, con le parole di Ghassan Kanafani "nessuno si sveglia e trova una patria ad aspettarlo". 
La patria non viene concessa, viene confiscata. E la lotta è l'unica via per rivendicarla. 

Lei che conosce il dolore di perdere un familiare, c’è qualcosa che vorrebbe dire alle famiglie degli ostaggi israeliani? 
Quando il genocidio finirà, ci saranno altre soluzioni, a sostegno dei legittimi diritti del popolo palestinese. Loro rivendicano umanità nei loro confronti, noi la rivendichiamo nei nostri.

Concludendo. La sua storia personale quanto pesa nel giudizio sulla guerra, la resistenza e i possibili compromessi? 
Come figlia di un martire, porto un fardello pesante e sacro al tempo stesso, un nobile abito che ho dovuto imparare a indossare, nonostante il dolore della perdita, il peso dell’esilio, il silenzio dell'orfanità e le cicatrici della privazione. Questa eredità non si eredita alla leggera, richiede presenza, responsabilità e uno scopo. Ancora oggi, sto imparando a viverla con dignità e a onorarla non solo attraverso il ricordo, ma anche attraverso l'azione. La mia resistenza è plasmata attraverso le parole e la performance. Attraverso la scrittura e il teatro, conservo e proietto la storia del mio popolo. Parlo affinché le nostre voci non vengano cancellate. Creo affinché la nostra storia non venga riscritta da altri. È così che resisto. È così che ricordo. 

E che dire dei martiri di Gaza e dei loro figli e delle loro figlie? 
Non sono mendicanti di libertà, sono cercatori di libertà, combattenti per la libertà. 

Ma con combattimenti da entrambe le parti, è difficile immaginare un percorso verso la pace. Lei ha anche parlato prima di un cessate il fuoco immediato. Non vede un dialogo in arrivo, o forse oggi non esistono i leader adatti per il dialogo? 
Nessun dialogo prima del cessate il fuoco e degli aiuti umanitari.

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